domenica 29 luglio 2012

Il comunicato stampa uffciale di Lab121 per Espresso Coworking

Espresso Coworking

Prima nonConferenza nazionale di coworking e lavoro

Sabato 22 e domenica 23 Settembre 2012 – Alessandria

Condividere conoscenze, strumenti e progetti, questi i valori fondanti del coworking e l’oggetto della nonConferenza nazionale, che nelle giornate di sabato 22 e domenica 23 settembre in Alessandria darà voce ai temi di “coworking e lavoro”.

I membri delle comunità di coworking, i freelance, le imprese e tutti coloro che desiderano un nuovo modo di lavorare, si danno appuntamento a Espresso Coworking per innescare opportunità, attivare reti multi-professionali e processi di lavoro innovativi.

Come un megafono permette a una sola persona di far sentire forte la propria voce, Espresso Coworking farà sentire forte e chiaro più voci contemporaneamente.

I coworking manager confronteranno le loro esperienze, le istituzioni illustreranno le possibili prospettive del mercato del lavoro, coworker e partecipanti in “dialogo aperto” condivideranno nuove modalità di lavoro e collaborazioni professionali.

Essere parte attiva della nonConferenza è semplice. Ogni persona potrà esprimere la propria opinione sul mondo del lavoro e nel contempo partecipare a workshop e business speed meeting per ampliare la propria rete di contatti professionali.

Nella giornate di Espresso Coworking, al mattino vi saranno tavoli di discussione “extra-large” con ospiti, in dialogo aperto con tutti i partecipanti. Il primo pomeriggio sarà dedicato a workshop e barcamp tematici per scoprire progetti di successo a cui ispirarsi.

Espresso Coworking è anche un mix di incontri conviviali, pranzi, cena e concerto, perché si lavora bene quando si sta bene insieme!

Aspettando Espresso Coworking, la prima non-conferenza nazionale sul Coworking e il Lavoro

E' organizzata da Lab121 - associazione alessandrina di coworkers - la prima (non) conferenza nazionale di coworking, Espresso Coworking, in programma ad Alessandria nel week end del 22 e 23 settembre.

Una due-giorni con un programma densissimo di interventi, tavole rotonde, dibattiti, laboratori, barcamp in cui si discuterà di un nuovo modo di lavorare, il coworking, del suo presente e delle prospettive future.

Molti i relatori invitati a vario titolo e anche le istituzioni avranno modo di dire la loro.

La kermesse prevederà anche momenti più leggeri, come pranzi e cene conviviali e il concerto di Eusebio Martinelli & The Gipsy Abarth Orkestar.

Nella foto, i coworkers dell'Ufficio Stampa di Lab121 al lavoro per preparare la campagna sui media.

lunedì 23 luglio 2012

I sette peccati delle relazioni pubbliche. Quarto: l'approccio on/off

Quarto post della serie “I 7 peccati delle relazioni pubbliche “ per il quarto peccato nell’elenco stilato dalla Crenshaw.

Peccato no 4: L’approccio on/off. Questo errore riguarda i clienti. Alcune aziende pensano ai relatori pubblici come ad un rubinetto che possono aprire o chiudere a seconda dei bilanci o dell’andamento del business. Grande errore. Le Rp funzionano meglio come strumento di branding a lungo termine, a differenza della promozione delle vendite o della vendita diretta. Qui c’è un grande rapporto costo/opportunità. (Traduzione tratta dal sito Ferpi)

Non sono solo i relatori pubblici che sbagliano. Il quarto errore riguarda le aziende. A rigor di logica la Crenshaw avrebbe potuto scansare di inserirlo, tanto più che non usa mezze parole verso i relatori pubblici da lei definiti “dilettanti”.

E allora, i relatori pubblici devono pagare anche per i “peccati” degli altri ? Parrebbe di sì, e non solo perché lo dice la Crenshaw. Piuttosto perché gli errori di comunicazione delle aziende pesano parecchio sulla categoria che dalla comunicazione dovrebbe trarre il proprio prestigio e il proprio sostentamento.

Peccato quanto mai diffuso, soprattutto nelle realtà di dimensioni minori (ma non solo), che hanno il budget come unico criterio di riferimento, è frutto, manco a dirlo, della endemica mancanza di cultura della comunicazione organizzata che caratterizza molte aziende italiane.

Se non si mettono al centro delle politiche aziendali le relazioni con i pubblici di riferimento, i contatti con l’ambiente in cui un’organizzazione è inserita (visto che non sta sulla luna e nemmeno in mezzo a un deserto) non si arriva a comprendere che il lavoro del relatore pubblico deve essere continuativo. Le relazioni non si coltivano a singhiozzo, altrimenti non funzionano. A singhiozzo si può stampare una brochure, aggiornare un sito, emettere un comunicato stampa. Naturalmente il valore di queste azioni sporadiche risulterà molto diluito, al punto che talvolta sarà vanificato.

E allora, come fare a educare gli imprenditori a comunicare in maniera organizzata e continuativa ? Mostrando loro prima di tutto che lo si può fare a basso costo. Prima li si convince di questo, poi gli si mostra che la comunicazione funziona. Esattamente in questo ordine.

Non ha certamente costi rispondere alle e-mail che si ricevono (se vi sembra una banalità provata a contattare qualche azienda) ed è proprio il minimo che si può fare per comunicare con i propri pubblici.

Il costo che l’azienda ha sostenuto per far fare un sito con una sezione dedicata alle News si rivelerà inutile se non si provvederà ad aggiornare questa sezione, lasciandola languire mesi e anni senza contenuti.

A volte basta veramente poco per distinguersi dagli altri, come avere un profilo aziendale pronto per quando il giornalista telefona (lo fanno, anche alle piccole imprese), per quando si va in fiera, ecc. E sono necessari pochi accorgimenti per gestire l’interesse che l’azienda suscita quando comincia ad “apparire in pubblico”.

L’agenzia o il libero professionista delle relazioni pubbliche possono sottolineare ogni occasione di comunicazione, per creare continuità ed evitare le azioni spot, tanto belle quanto inutili.

venerdì 13 luglio 2012

I sette peccati dei relatori pubblici. Terzo: fare spam

Terzo post per il terzo peccato dei relatori pubblici, individuato da Dorothy Crenshaw e ripreso da Ferpi, cui si deve la traduzione riportata qui di seguito:

Peccato no: 3: Fare spam. I più disperati (o ignoranti) tra noi sono chiamati su base settimanale alla sfida definita come “innaffia e prega". Ma vale la pena ripeterlo. Non è un comportamento in assoluto sbagliato ma quantomeno è poco professionale. Un approccio personalizzato funziona sempre meglio.

Inviare comunicati stampa a pioggia anche a giornali/riviste ecc. che per l’argomento che trattano non possono essere minimamente interessati, o inviarli alla stampa di settore ma senza averli personalizzati sulla base dei lettori tipo, o ancora intasare le caselle di posta altrui con campagne di e-mail marketing fatte magari bene ma inviate al target sbagliato. Sono esempi dei casi in cui più frequentemente si spargono le notizie a pioggia sperando che qualcuno le raccolga, le giudichi degne di nota e le pubblichi.

Per il relatore pubblico “dilettante” (per usare la definizione della Crenshaw) oppure alle prime armi, consigliamo la lettura del dossier di Sergio Zicari, scaricabile qui, in cui l'autore spiega molto chiaramente come preparare un piano della comunicazione con i media e, nella fattispecie, come selezionare le testate da contattare per l’invio dei propri comunicati stampa. Il dossier è particolarmente interessante per chi lavora nelle PMI.

Anche se spesso si tratta di un peccato veniale, dovuto alla fretta o all’ansia di diffondere una notizia, o all’ingenuità che fa sopravvalutare la portata di una notizia (il dossier approfondisce anche questo aspetto), se ne può anche trarre una diversa conclusione: una mancanza di pensiero strategico da parte dell’azienda, che non è veramente interessata a individuare i suoi pubblici di riferimento rivolgendo loro messaggi mirati. Quindi si limita a diffondere comunicazioni a una via. Non importa che siano ricevute da qualcuno perché non importa avere un feed back. In queste organizzazioni il relatore pubblico è relegato al semplice ruolo di portavoce della coalizione dominante, e non è nemmeno un “peccato” suo quello di inviare comunicati stampa a pioggia, perché spesso è quanto gli viene richiesto. Nel contempo, l’unico metro di valutazione della riuscita di un intervento comunicato è l’output, la quantità di clip di giornale che riprendono la notizia.

Più che essere un peccato commesso da dilettanti, si tratta di un peccato intrinseco a una concezione della comunicazione vecchio stampo, più simile alla Press Agentry di Barnum che non alla comunicazione a due vie di Grunig. Sarà possibile non commetterlo più solo quando si sarà diffusa una maggiore cultura delle relazioni pubbliche come asset strategico delle organizzazioni, e della comunicazione come il principale strumento per costruire delle vere relazioni con i pubblici di riferimento.

martedì 10 luglio 2012

I sette peccati dei relatori pubblici. Secondo: non rispettare le deadline

Questo è il secondo post di una serie di sette, ispirati all’articolo di Dorothy Crenshaw sui 7 peccati dei relatori pubblici, tratto dal sito Ferpi.

Il secondo peccato secondo la Crenshaw è:

Non rispettare le deadline. Un’occasione mancata sui media. Una proposta inviata troppo tardi. Una buona idea partorita quando sono usciti già troppi articoli. Questa è un errore tattico. Le deadline sono sacre nel gioco delle Rp e mancarne una è un crimine punibile con l’espulsione dal business.
(traduzione del testo tratta dall’articolo di Ferpi).

Non rispettare le deadline significa molto di più che inviare i comunicati stampa in ritardo: vuole dire sostanzialmente non saper cogliere le occasioni e, peggio ancora, non vedere i rischi.

Una delle capacità che fondano l’attività del relatore pubblico è quella di tenere gli occhi e le orecchie ben aperti e il cervello attento agli stimoli del mondo esterno, in modo da approfittare delle occasioni non appena si presentano. Tra le competenze che il relatore pubblico dovrà obbligatoriamente possedere in futuro Toni Muzi Falconi indica “curiosità e inquietudine”:

E inoltre:

Una conoscenza professionale delle piattaforme dei media sociali – I professionisti devono sapere come utilizzare questi strumenti che hanno messo la vera potenza del social web a portata di tutti.

Un relatore pubblico non può più esimersi dal saper cogliere prontamente gli stimoli dell’ambiente esterno all’organizzazione (ma è indispensabile farlo anche per quello interno) e dall’essere presente e attivo là dove la gente si ritrova anche virtualmente.

Chi dorme tra quattro guanciali potrebbe farsi sfuggire delle questioni importanti: le issue che, se non affrontate in fase iniziale, quando possono essere gestite in maniera favorevole all’azienda, potrebbero con il tempo suppurare, se ignorare, e creare pericolose infezioni nel tessuto sociale e relazionale in cui l’organizzazione è inserita, costringendola al rischioso gioco di difesa della comunicazione di crisi.

Sempre Toni Muzi Falconi inserisce tra le competenze del professionista di relazioni pubbliche la capacità di raccogliere dati (desk analysis) e identificare le questioni chiave (issue analysis), come competenze non fini a se stesse ma propedeutiche all’identificazione dei pubblici di riferimento (ogni issue ha il suo pubblico) con cui l’azienda dovrà entrare in relazione. Che è poi il nucleo del suo lavoro.

mercoledì 4 luglio 2012

I 7 peccati dei relatori pubblici. Primo: promettere e non mantenere

Il portale della Federazione Relazioni Pubbliche (Ferpi) riporta in questi giorni un articolo del PR Daily scritto da Dorothy Crenshaw, secondo PR Week una delle 100 donne più influenti nel settore delle Relazioni Pubbliche.

Crenshaw elenca quelli che a suo parere sono i 7 peccati mortali del relatore pubblico, in grado, se commessi, di macchiarne la reputazione facendolo bollare come un dilettante.

Ho deciso di approfondirli uno per uno, con 7 post di seguito, per vedere se veramente si tratta di errori così terribili, quali le motivazioni, le eventuali scusanti e le contromisure per evitarli. Il testo di ogni “peccato” è stato tratto dal sito Ferpi.

Peccato no. 1:
Promettere quello che non si è certi di poter mantenere.

"Si tratta di un osso duro, perché i risultati in termini di notorietà non possono essere previsti in modo totalmente preciso. Al culmine della “battaglia”, è facile per un team di agenzia “esagerare” il potenziale ritorno sugli investimenti. A volte queste semplici aspettative sono ingigantite da lunghe trattative. Nel peggiore dei casi, si tratta di una totale incapacità di deludere le aspettative del cliente. Di solito, vi aspetta l’inferno".

Una delle difficoltà maggiori per chi si occupa di relazioni pubbliche è quella di effettuare una valutazione del proprio operato in maniera tale da giustificare al cliente o datore di lavoro (a seconda che il professionista operi autonomamente o in azienda) il ritorno dell’investimento. Quello del ROI delle relazioni pubbliche è uno degli argomenti più dibattuti degli ultimi anni. Dalla capacità di dimostrare il valore - anche e soprattutto in termini economici – del lavoro di relazioni pubbliche dipendono molte cose: la possibilità per il professionista di mantenere il cliente, il prestigio del relatore pubblico in senso individuale e come categoria, la reputazione delle relazioni pubbliche come asset strategico per il raggiungimento degli obiettivi aziendali, il budget, il numero dei collaboratori e altri vantaggi di cui il comunicatore in-house potrà disporre in futuro.

Per non commettere questo “peccato” è essenziale rapportarsi con il cliente/datore di lavoro con la massima trasparenza, chiarendo il più possibile (mettendolo anche per scritto) quelli che sono gli obiettivi di una campagna di relazioni pubbliche in generale e quello che ci si può aspettare o non aspettare da uno specifico intervento.

Attualmente le competenze relative ai metodi e modi di valutazione delle azioni di relazioni pubbliche sono tra le meno approfondite tra quelle in possesso degli operatori. Probabilmente anche tra le più trascurate a livello di formazione. Confrontiamo per esempio la proliferazione di corsi su come fare le rp con i social media con l’offerta formativa nel campo della valutazione per avere un’idea. Lavorare su questo punto sarebbe di sicuro aiuto per tanti relatori pubblici, esperti o meno.

Le aspettative elevate di molti imprenditori possono anche essere conseguenza di quella mancanza di cultura in comunicazione spesso sottolineata con rabbia e rammarico da chi fa questo lavoro e si confronta con limiti e ostacoli che prima che economici sono mentali.

Accrescere la cultura della comunicazione significa anche spendere ogni volta qualche parola in più con i clienti per effettuare un paziente lavoro di semina di idee e concetti consapevoli che solo con il tempo se ne raccoglieranno i frutti. Da evitare invece assolutamente il “peccato mortale” di esagerare di proposito i risultati per accaparrarsi il cliente, una tentazione che i più fragili e i meno onesti, in tempi di crisi e scarsità, potrebbero trovare irresistibile. Pena: non solo la perdita del cliente che, dopo una campagna sbagliata non vorrà più saperne di noi, ma l’inizio di un passaparola alquanto dannoso.