venerdì 27 febbraio 2009

Come gestire il web designer. Guida per l’imprenditore  



“Si une femme est mal habillée, on remarque sa robe, mais si elle est impeccablement vêtue, c’est elle que l’on remarque”

Coco Chanel

(Se una donna è malvestita si nota il vestito, se è ben vestita si nota la donna.)


I rapporti tra il grafico deputato a creare la veste di un sito e l’imprenditore committente sono stati recentemente oggetto di un animato dibattito sia su Blografik sia su questo blog. Da entrambi è emerso che le relazioni tra le due categorie non sono tra le più facili.

Ho pensato perciò di proporre un decalogo comportamentale per gli imprenditori che devono relazionarsi con i web designer, nell’intento di eliminare almeno alcune incomprensioni.

1.       Il web designer è solo una delle figure che realizzano un sito internet. Le altre sono:

*  il webmaster, che si occupa della parte tecnica e qualche volta può coincidere con il designer, anche se non necessariamente;

*  il copywriter (o redattore online) che scrive i testi;

*  il content manager, che stabilisce quali sono i contenuti e talvolta coincide con il copywriter (ma anche in questo caso non necessariamente);

*  l’information architect, cioè colui che progetta la struttura del sito a partire dalla home page fino all'ultimo dei link.

2.       Se decidete di ingaggiare solo un web designer assicuratevi di avere al vostro interno le altre figure. Non date per scontato che possa occuparsi di tutto lui, anche di quello che non gli compete. Altrimenti rivolgetevi a una agenzia che vi fornisca tutti questi servizi.

3.       Chiaritevi bene anticipatamente, e chiarite a chi deve fare il sito, quali sono i vostri obiettivi: sito istituzionale, sito incentrato su un solo prodotto o su una linea di prodotti o su un brand, sito di e-commerce, sito dedicato a un evento o altro ancora. A seconda della risposta che vi darete la grafica cambia.

4.       Chiedete sempre almeno tre proposte grafiche.

5.       Prendetevi una settimana di tempo per fare la vostra scelta, non è detto che il bozzetto che vi colpisce subito qualche giorno dopo vi piaccia ancora. Tenete presente che il bozzetto più bello non necessariamente è quello più adatto per il sito (vedi punto 3).

6.       Chi visita il vostro sito non vuole vedere un’opera d’arte, cerca delle informazioni. Ne consegue che la grafica deve essere di supporto al contenuto, contribuendo all’armonia dell’insieme senza essere invadente. La citazione di Coco Chanel che ho messo all’inizio del post non è casuale ma si riferisce proprio a questo. Tenetelo a mente, se non volete che del vostro sito i navigatori notino solo la grafica, magari con fastidio.

7.       Se il grafico insiste per delle soluzioni che a voi non convincono fatevi spiegare esattamente i pro e contro di scelte diverse. Se necessario prendetevi un altro po’ di tempo per decidere.

8.       Se nonostante tutto non si crea affinità con il grafico, lasciate perdere e cercate qualcun altro. E’ meglio ricominciare daccapo e avere alla fine un buon lavoro che procedere su una strada sbagliata cercando di aggiustare il tiro alla meno peggio di volta in volta.

9.       E’ importante instaurare un rapporto di fiducia con il grafico che avete scelto, ne avrete bisogno anche quando, in seguito, dovrete fare dei piccoli restyling del sito.

10.       Ricordatevi che il sito è vostro e la scelta finale spetta a voi (chi è che paga ?). Se proprio la grafica del sito deve essere inadatta o brutta è meglio che lo sia perché l’avete scelta voi piuttosto che qualcuno estraneo all’azienda. Ognuno paga per le proprie scelte, non per quelle degli altri e se in futuro cambiate idea non c’è niente di male a ricontattare il grafico, se è intelligente sarà felice di potervi aiutare.

lunedì 23 febbraio 2009

Web e nuove relazioni con i media  

Il ciclo della notizia di Biagio Carrano presenta esattamente quella che è la sfida principale di chi si occupa oggi di relazioni con i media: avere a che fare con un universo in continua evoluzione e completamente incontrollabile, quello del web 2.0. In cui chiunque può riprendere una notizia anche morta e sepolta e riportarla all’attenzione dei suoi lettori. Oppure mettere in piazza il cattivo comportamento di un’azienda, con ripercussioni imprevedibili.

Se un blogger postasse un video che denuncia i comportamenti scorretti della tua azienda o gli strafalcioni dei suoi dirigenti di vertice come risponderesti? Con un comunicato stampa? Ma dai, saremmo ben oltre la soglia del ridicolo comunicazionale. E se domani qualcuno (un mattacchione, un concorrente, un nemico) creasse un gruppo su FaceBook del tipo “Vittime dell’inaffidabilità dei prodotti XY” o “Vaffanculo all’amministratore delegato di banca ZW”? Risponderemmo con una contropagina su FB a nostro favore? Evitiamo il ridicolo anche stavolta. Il circuito notizia-smentita-rettifica mostra la corda anche sui canali tradizionali, figuriamoci su internet.
L’interrogativo che si pone Carrano non è da poco, ma una risposta bisogna pure darsela, perché queste ormai sono le regole, per chi vuole partecipare.
Tanto si chiede Carrano.

Come sarebbe giusto fare secondo me ?

Se un blogger denuncia il comportamento scorretto di un’azienda, il primo compito di chi si occupa di relazioni pubbliche è quello di convincere chi ne ha il potere/la responsabilità a correggere il comportamento. E poi comunicare il cambiamento. Con un comunicato stampa ? Dipende. Se la notizia ha avuto molta rilevanza, certamente un comunicato nel sito aziendale (o anche su un quotidiano a diffusione locale/nazionale a seconda del rilievo della notizia) non è a priori una cattiva idea, come neanche un post nel proprio blog, se l’azienda ne ha uno. O un commento al post del blogger protestatario.

La scelta del mezzo va ponderata, certo, ma conta di più il tipo di reazione che ha l’azienda, se dimostra o meno di voler/sapere rimediare, il modo in cui si esprime (un tono burocratico e arrogante invaliderebbe anche le migliori attenzioni), come dimostra di sapere gestire la faccenda e con quale tempestività.

Credo che si rischi di cadere nel ridicolo non tanto per il mezzo che si usa, quanto per quello che si dice e per i toni in cui lo si dice. E soprattutto se, dopo aver annunciato un rimedio/un cambiamento, non lo si realizza in maniera completa e soddisfacente.

Smentire a mio avviso è essenziale (a meno che non si tratti di una contestazione di così basso livello, per come è scritta e per quello che dice, che si commenta da sola e allora in questo caso si fa più bella figura a lasciare perdere). Farlo bene ancora di più, e prima lo si fa meglio è.

venerdì 20 febbraio 2009

La gaffe della senatrice Feinstein: che cosa imparare dalle cattive relazioni pubbliche 

Era il segreto di Pulcinella ma non si doveva dire: le basi degli aerei americani che bombardano i terroristi di Al Qaeda si trovano in Pakistan.

Ma bisognava non proclamarlo ai quattro venti, per non mettere in imbarazzo il governo pakistano che tiene i piedi in due scarpe.

Come ha fatto invece la senatrice americana Dianne Feinstein, presidente del Comitato sull’Intelligence.

Un errore di comunicazione che rischia di innescare un caso diplomatico tra USA e Pakistan, anche perché il Times di Londra (i giornalisti sì che fanno bene il loro mestiere) ha soffiato sul fuoco aggiungendo altri dettagli.

C’è da dire che il mestiere di Dianne Feinstein non è occuparsi di relazioni pubbliche, ma questo significa ben poco. Quando si opera a quel livello ogni sillaba emessa deve essere accuratamente controllata, perché sia nella più assoluta conformità. E questo comprende anche il tacere dei particolari, quando è meglio che non si sappiano.

Ho l'impressione che questo caso sia la dimostrazione lampante della veridicità di due concetti di cui gli esperti di relazioni pubbliche non si stancano di ribadire l’importanza.

1)     la comunicazione non è blindata, basta un forellino nella chiglia perché la barca imbarchi tanta acqua da rischiare di affondare. Gli operatori della comunicazione sanno bene quanto lavoro sia richiesto per realizzare e diffondere messaggi credibili e convincenti e sanno altrettanto bene quanto poco basti – da parte di un CEO, un direttore, un presidente, un responsabile a vario titolo insomma, che si trovi a parlare pubblicamente - per vanificare questo lavoro.

2)     Il ruolo delle relazioni pubbliche non è limitato alla comunicazione (operatività) ma comporta il cercare di provocare cambiamenti all’interno dell’organizzazione di riferimento (strategia).

Se questi cambiamenti non avvengono, la comunicazione ne viene invalidata, anche se spesso nessuno se ne accorge, perché gaffe di questo tipo non sono così frequenti. Qui è evidente che occorre lavorare per migliorare il punto debole della collaborazione Usa-Pakistan, cioè la mancata sicurezza dei civili, che deve essere maggiormente tutelata. Questo è il cambiamento comportamentale che le relazioni pubblico-diplomatiche devono indurre.

L’unico modo per mettersi al riparo da gaffe, se ne esiste uno, è quello di operare con trasparenza, in modo che quello che si dice corrisponda a quello che si fa, che lo dica un senatore o il lavapiatti della Casa Bianca.

E' utopistico pensarlo, oppure è la direzione che le organizzazioni - dalla piccola azienda fino al governo degli Stati Uniti d'America - con l’aiuto delle relazioni pubbliche, devono decidersi a prendere ?

mercoledì 18 febbraio 2009

Quali competenze per lavorare nella comunicazione: iscriversi o no a Scienze della Comunicazione  

Ogni tanto il dibattito riaffiora. Un post di Vittorio Zambardino di qualche anno fa (in cui esprimeva parere negativo su questo corso di laurea) aveva scatenato una marea di commenti. Poi Uniferpi ha ripreso il discorso e adesso registriamo l’uscita di Vespa.

In merito all’intervento di Vespa vorrei fare le seguenti considerazioni:

1)    Proporre a un ragazzo che sta per iscriversi a Scienze della Comunicazione di scegliere piuttosto ingegneria mi pare uno sciocco spreco di parole. Quali benefici possono venire da un ingegnere (sempre che riesca a diventarlo) che non ha nessuna attitudine per questo settore? Se l’Italia ha bisogno di ingegneri stia attenta a non far fuggire quelli che ci sono già.

2)    Scienze della comunicazione è diversa per ogni sede universitaria, mi par di capire, sia come contenuti e discipline sia come valore dell’insegnamento, e mi risulta anche che ci siano svariati indirizzi, quindi fare di ogni erba un fascio ha ben poco senso.

3)    Sarebbe invece più proficuo stabilire di quali competenze ha bisogno chi desidera lavorare nei vari ambiti della comunicazione, diversificando per ambito, dato che evidentemente occuparsi di relazioni con i sindacati in un’azienda non ha niente a che vedere con il fare l’account in agenzia, o il copywriter freelance.

Il secondo passo consiste nel capire quali di queste competenze si possono apprendere all’università e quali si devono sviluppare per conto proprio, con corsi di approfondimento o al limite sul campo con l’esperienza e l’ aggiornamento continuo.

Ricordandosi che si tratta di un settore, ma mi sembra più appropriato parlare di un insieme di settori, in continua evoluzione e che quindi non è realistico pensare che l’università, che ha dei programmi codificati, riesca a stare al passo con le continue novità (pensiamo solo al recentissimo boom dei social network come strumenti di comunicazione aziendale). Figuriamoci poi se ci riesce la pachidermica università italiana.

lunedì 16 febbraio 2009

Alitalia licenzia la hostess del Grande Fratello che ne danneggia l’immagine  

L’ufficio del personale dell’Alitalia ha spedito la lettera di benservito a Daniela Martani, la hostess concorrente del Grande Fratello: licenziamento per giusta causa dovuto alle troppe assenze dal lavoro (ma non avevano il problema del personale in esubero ?)

L’azienda avrà forse ritenuto che la partecipazione di una propria dipendente a un programma di così basso livello poteva essere di nocumento alla propria immagine.

Eppure la reputazione della compagnia aerea è talmente caduta in disgrazia che:

a)   caso mai il danno di immagine della Martani, se c’è, può essere al massimo una scalfittura;

b)    può darsi addirittura che non ci sia danno ma beneficio, perché si parla dell’Alitalia per altri motivi che non siano il deficit di bilancio, gli scioperi, i disservizi.

A proposito, l’ufficio comunicazione dell’Alitalia dov’era ?



sabato 14 febbraio 2009

PMI e pubblicità sui media tradizionali: come farla rendere e non sprecare soldi  



Nonostante gli investimenti pubblicitari su internet siano in aumento, i media tradizionali mantengono ancora una certa quota di mercato.

Soprattutto per merito delle aziende che si rivolgono direttamente ai consumatori finali, molti dei quali per età e livello socio-economico-culturale non hanno familiarità con internet.

Oppure sono aziende che operano in settori di nicchia e hanno necessità di circoscrivere molto il pubblico di riferimento, rivolgendosi alle riviste di settore.

Una ricerca condotta da Sergio Zicari nel 2006 (ancora attuale, quindi, considerato che i tempi di evoluzione dei media tradizionali non sono rapidi come quelli di internet) evidenzia come, a fronte di un investimento pubblicitario considerevole (i costi della pubblicità cartacea restano alti), molte aziende non siano in grado di sfruttare le opportunità generate da un’inserzione, finendo per sprecare risorse e possibilità.

Che cosa possono fare quindi le PMI, che in genere non hanno risorse illimitate, soprattutto ultimamente ?

La scelta di fare una pagina pubblicitaria deve essere inserita in una strategia generale in cui sia chiaramente specificato - nero su bianco - l’obiettivo che si vuole ottenere. Questo sarà anche comunicato chiaramente al grafico e al copywriter che dovranno creare la pagina perché il loro lavoro sia coerente.

Gli obiettivi possono essere i seguenti:

• Si vuole pubblicizzare l’immagine istituzionale dell’azienda per dire ci siamo, ci occupiamo di questo, siamo un’azienda seria, ecc. Questi possono essere gli obiettivi di una start up, che deve farsi conoscere oppure di un’azienda già consolidata nei periodi in cui non ci sono prodotti nuovi ma si vuole farsi sentire sul mercato anche per rispolverare un’immagine un po’ sbiadita.

• Si vuole pubblicizzare un nuovo prodotto o linea di prodotti, appena uscito, oppure riportare l’attenzione su un prodotto un po’ in declino per far sapere che c’è ancora ed è ancora valido.

• Si vuole pubblicizzare un’iniziativa particolare, per esempio l’acquisizione di una certificazione, oppure l’apertura di una filiale o la firma di un accordo di esclusiva. In questo caso l’argomento potrebbe anche essere ripreso dai giornali in quanto notizia. La pagina pubblicitaria può essere utile se non è stato preso in considerazione dai giornalisti (e a questo punto è bene chiedersi se il comunicato stampa è stato fatto a regola d’arte o no) oppure se si vuole dare ancora più risalto alla notizia.

Il progetto pubblicitario dovrà inoltre specificare eventuali azioni che si intende fare dopo l’uscita della pubblicità. Il follow up è ancora più importante, per non vanificare l’investimento. Si tratta sostanzialmente di mantenere le promesse fatte dalla pubblicità. Dando per scontato che il prodotto deve avere le caratteristiche citate nella reclame, la cosa più importante dopo che l’annuncio è stato pubblicato è il far seguito e coltivare ogni contatto che ne sia derivato.

Alcune azioni utili:

Preparare anticipatamente il materiale promozionale legato all’argomento della pubblicità. Se è un nuovo prodotto saranno depliant, cataloghi (per linee di prodotto), campioni da provare gratuitamente.

Stabilire chi dovrà occuparsene in modo da non perdere tempo. Un campione / catalogo inviato dopo due mesi (pare sia il tempo medio secondo la ricerca di Zicari) non ha più alcun senso. L’invio dovrebbe essere immediato in modo che arrivi a destinazione entro una settimana dalla richiesta.

Inserire nell’invio un elemento di interattività: un modulo da compilare e rispedire, con domande tipo ti è piaciuto il catalogo, ti è servito il campione, che cosa ne pensi, pensi che acquisterai, che non acqisterai, i prezzi vanno bene oppure sono cari, ecc.E’ meglio se il modulo è preaffrancato in modo che il destinatario non abbia che che da compilarlo e infilarlo nella prima buca delle lettere che trova in strada.

Fare tesoro del feed back ricevuto e, se questo è valido, premiarlo con l’invio di un altro piccolo campione o di un messaggio di ringraziamento.

Creare un database di indirizzi da ricontattare periodicamente (gli indirizzi vanno tenuti fino a che non è il cliente a chiedere di essere cancellato).

Quali altre azioni potrebbero essere utili secondo voi ?

lunedì 9 febbraio 2009

Se il Vaticano non controlla la comunicazione  

Anche i potenti sbagliano, si potrebbe dire dopo la – a mio parere – soprendente autocritica di padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa di Benedetto XVI, riguardo all’errore di comunicazione del Vaticano.

Soprendente non tanto per l’autocritica in sé, quanto per il fatto che si sia potuto commettere un errore del genere.

L’errore appare in effetti evitabilissimo. In breve, l’ufficio stampa del Vaticano emette un comunicato per rendere noto che Benedetto XVI ha ritirato la scomunica a quattro vescovi lefevriani. Alcuni giorni prima uno di questi, Williamson, aveva negato l’Olocausto. Segue un mare di critiche per la decisione del Vaticano, che nello scarno messaggio del'ufficio stampa non appare sufficientemente motivata.

Lombardi parla di mancanza di cultura della comunicazione, di una comunicazione frammentata (“ogni dicastero comunica da solo”), di sovrapposizione dei messaggi emanati da vari vescovi e altri porporati, in contraddizione gli uni con gli altri.

In effetti, se così è stato, si è trattato di una ingenuità con conseguenze serie, se si considerano le polemiche che sono sorte. E certamente un po' di danno all’immagine c’è stato.

Colpisce anche l’ammissione dell’inadeguatezza a usare i mezzi moderni per le difficoltà a differenziare i target dei messaggi ("tutto finisce nella sfera pubblica, sia i documenti per specialisti-teologi, sia quelli per i mezzi di informazione"). Infine, il comunicato stampa - dice Lombardi – dava adito a varie interpretazioni, cioè era confuso.

Più che da portavoce del Papa, questi mi sembrano errori da comunicatori alle prime armi, a cui la situazione sia scappata di mano, o no ?

venerdì 6 febbraio 2009

La comunicazione aziendale non è una roccaforte inespugnabile  

Questo post nasce dalle riflessioni che seguono la lettura di Gli ultimi vagiti delle PR “blindate”, di Conversational, troppo lunghe per far parte di un commento.

Non è possibile creare un ambiente sterile intorno a un’azienda, l’azienda è inserita in una rete di rapporti, è un organismo vivo immerso nella realtà, e il continuo flusso di interrelazioni in uscita e in entrata impedisce il controllo totale sulla comunicazione.

Un’azienda non è una pièce teatrale in cui gli attori imparano esattamente le parole, i gesti, i movimenti che dovranno dire e fare sul palcoscenico e li riproducono ogni volta uguali (ma anche qui c’è un certo grado di improvvisazione, anche se lo spettatore non se ne accorge).

Il modo di lavorare è troppo rapido, e talvolta convulso, per permettere un perfetto autocontrollo e una autocensura da parte degli attori in questione, dall’operaio all’amministratore delegato e soprattutto da parte di tutte quelle figure intermedie che incessantemente colloquiano con gli interlocutori, come chi fa gli acquisti, le vendite, il post-vendita.

Le rp non erano blindate neppure prima dell’avvento del web 2-0 e dei social network, solo che se ne aveva l’illusione: i giornalisti pubblicavano i comunicati stampa come glieli spedivamo, i clienti leggevano le caratteristiche dei prodotti che scrivevamo sui depliant e solo quelle, ecc.

Ma nessuno poteva impedire a qualcuno di sconsigliare all’amico di acquistare un prodotto perché lui non si era trovato bene e l’azienda gli aveva negato l’assistenza necessaria a risolvere il suo problema. Il passaparola c’è sempre stato, solo che viaggiava a voce, che fosse di persona o per telefono (e prima ancora per lettera !).

Adesso ce ne siamo accorti perché il fenomeno è stato amplificato all’ennesima potenza dalla rete, che ci ha strappato – bruscamente – i paraocchi e abbiamo finalmente realizzato che siamo vulnerabili.

La signora vittima dell’episodio del Carrefour che ha fatto il giro del web si sarebbe lamentata lo stesso, con il marito, le amiche, i vicini di casa e magari loro avrebbero deciso di fare spese in un altro supermercato, per solidarietà nei suoi confronti. Certo il danno sarebbe stato molto più limitato, ma l’immagine del colosso francese avrebbe comunque ricevuto una scalfittura.

Ci sono casi però in cui il passaparola ha un peso maggiore. Per una concessionaria di automobili perdere un potenziale cliente da 20.000, 30.000, 40.000 euro perché l’amico non ha avuto un servizio soddisfacente è un danno molto più rilevante.

Ci voleva però la doccia fredda del web, con i blog e i social network in cui si può parlare male di noi, perché ci pensassimo. E’ la cassa di risonanza che amplifica le conseguenze di un fenomeno sempre esistito.

Cosa può fare dunque un’azienda ? Le regole le sappiamo ma giova ricordarle ancora:

1) comunicare in maniera chiara, completa, trasparente.

2) comunicare a due vie e non a senso unico, cioè l’interlocutore deve poter rispondere e dire la sua, possibilmente si deve tener conto di quello che dice.

3) stabilire una policy che regoli la comunicazione, concetto espresso da Conversational, che io sottoscrivo pienamente.

4) modificare i comportamenti in modo da renderli coerenti con quello che si dice.

5) per riassumere: coerenza e trasparenza sono le nuove parole d’ordine.

martedì 3 febbraio 2009

Il trionfo della reputazione sull’immagine in tempo di crisi  

Leggendo un post di Pranista sulla reputazione, riflettevo nuovamente sulla discrepanza tra quest’ultima e l’immagine, su cui mi ero già soffermata un po’ di tempo fa.

E mi sono accorta che c'è un’altra importante differenza, che non avevo menzionato.

L’immagine, costituita da una serie di atti in maggioranza comunicativi (pubblicità, sito web, cataloghi e materiale promozionale, eventi, comunicati stampa, ecc) potrebbe risultare fuori dalla portata di molte aziende che ultimamente non nuotano nell’oro.

La reputazione invece si basa per lo più sui comportamenti e sui fatti, è quindi molto meno costosa, in termini di investimenti in denaro.

La crisi economica è quindi un'ottima occasione per fare di necessità virtù e impegnarsi per migliorare la reputazione con poca spesa, agendo dall’interno della propria realtà.

Quando sarà il momento di tornare a investire in immagine ci si troverà con un patrimonio concreto fondato su best practices ormai acquisite (e quindi più facili da mantenere), quali fondamenta su cui costruire progetti comunicativi che abbiano dei contenuti reali, anziché essere solo del fumo negli occhi.