giovedì 25 settembre 2008

Talk the walk o walk the talk. Quale coerenza tra comunicazione e comportamenti.  

In un’interessante riflessione di Fabio Ventoruzzo pubblicata ieri sul sito della Ferpi l’autore distingue tra le due espressioni americane talk-the-walk e il suo contrario, walk-the-talk.

Con la prima – spiega Ventoruzzo – si definisce lo sforzo di un’organizzazione per cercare di uniformare i propri comportamenti alla propria comunicazione: prima si dice che cosa si farà e poi lo si fa, o si cerca di farlo. La seconda significa invece dire quello che si fa, comunicare i propri comportamenti effettivi.

Secondo Ventoruzzo l’approccio ideale deve tener conto di entrambe ma – nel nostro mondo professionale reale – la strada da seguire è piuttosto la seconda anche se, ammette, agendo in tal modo un relatore pubblico dovrà truccare un po’ la verità per nascondere le magagne dell’organizzazione che rappresenta.

Premetto che non mi interessa entrare nel dibattito politico (l’articolo di Gian Antonio Stella del CorSera, che Ventoruzzo riprende e commenta, ha un taglio politico), mentre intendo affrontare il discorso dal punto di vista della comunicazione in azienda.

A mio parere, l’approccio talk-the-walk, che dei due preferisco, non si sostanzia, come sostiene Ventoruzzo, nel raccontare qualcosa prima ancora di averlo fatto e poi fare i salti mortali per farlo, spesso senza riuscirci. Consiste invece nel continuo sforzo da parte dell’azienda per cercare di rendere coerenti i propri comportamenti con quella che è l’identità che ci si vuole dare, e quindi con l’immagine che si riflette esternamente e che rappresenta questa identità.

Mi pare che tale approcciio sia alla base di quello che da tutti gli esperti più illuminati in materia è considerato il compito più alto del relatore pubblico: quello cioè, dopo aver ascoltato le istanze degli stakeholder, di rappresentarle presso la coalizione dominante per integrarle il più possibile nelle politiche aziendali.

Chiaro che non si tratta di porsi degli obiettivi irraggiungibili e non sostenibili da parte dell’azienda, - sarebbe folle - bensì di identificare quello che è concretamente fattibile e inserirlo in una attenta e dettagliata programmazione, da mettere in pratica passo dopo passo.

Più rischioso dell’altro, perché alle dichiarazioni di intenti devono seguire i risultati, l’approccio talk-the-walk è innovatore: non si accontenta di comunicare lo status quo, ma si impegna per migliorarlo, è capace di pensare in grande e sul lungo termine, immaginando scenari non ancora presenti. Ma per essere efficace richiede anche molta concretezza (leggi programmazione strategica e poi tattica).

Dei due, è quello che meglio corrisponde al quarto modello di Grunig, e l’unico che consente al relatore pubblico di avere un ruolo strategico. Il walk-the-talk mi sembra tanto press agentry, si caratterizza per una certa miopia di vedute, non è interessato al cambiamento (comunica le cose come stanno), richiede molto meno coraggio e relega il comunicatore in un ruolo esecutivo.

sabato 20 settembre 2008

Relazioni pubbliche e diplomazia, strumenti di democrazia  

Capacità negoziali, chiarezza comunicativa, disposizione all’ascolto e alla conciliazione di esigenze diverse, abilità a trovare soddisfacenti soluzioni di compromesso, facilità di adattamento a culture diverse, ampia visione generale e capacità di pensare in grande.

Sono le qualità che deve avere un diplomatico ? Sì, ma anche le stesse che deve possedere un relatore pubblico. Compito del primo assicurare relazioni pacifiche tra una nazione e l’altra, del secondo promuovere relazioni proficue tra l’organizzazione per cui lavora e i suoi pubblici.

Obiettivo del relatore pubblico è legittimare la presenza dell’azienda su un territorio, all’interno di una comunità, e di creare con essi un rapporto basato sulla correttezza. Il pubblico richiede che l’azienda non inquini (comunità locale), garantisca la sicurezza del posto di lavoro (dipendenti e loro famiglie), non delocalizzi (ancora i dipendenti), non fallisca (investitori), metta sul mercato prodotti validi a prezzi adeguati (clienti) e rispetti le leggi (istituzioni).

Dal canto suo l’azienda vuole crescere, espandersi (anche fisicamente), fare profitti, diventare leader di mercato, far valere le proprie richieste presso le amministrazioni locali e le istituzioni.

Esigenze che talvolta non si incontrano, coincidono solo in parte o addirittura collidono, proprio come quelle di due stati esteri che non si accordano sui confini o su chi si deve accogliere una particolare etnia o avere il controllo di un territorio.

Per conciliarle, ricomporre le eventuali fratture, inventarsi soluzioni per accomodare esigenze contrastanti è necessario un lavoro paziente e costante. C'è da tenere i contatti, far crescere la relazione e soprattutto dialogare e discutere fino a trovare un terreno comune d’intesa.

Si chiama rispetto dei diritti altrui, convivenza civile, democrazia. E il relatore pubblico ne è uno strumento chiave, proprio come un ministro degli esteri o un ambasciatore.