giovedì 31 maggio 2007

La scuola italiana è Web 0.0 ?  




Un’amica che insegna in un istituto tecnico della provincia mi racconta “sconvolta” che il preside ha rifiutato un’offerta - scandalosamente favorevole - di un’agenzia di SEO per indicizzare il sito internet della scuola sui motori di ricerca. Motivazione: gli insegnanti, gli alunni e il personale scolastico non docente conoscono l’indirizzo del sito e quindi lo trovano comunque. Ma gli altri ? Ma l’obiettivo primario dell’istituto non era quello di fare delle iscrizioni ? Forse non quello dichiarato ufficialmente (che dovrebbe essere quello di formare delle professionalità ben precise) ma sicuramente – lo so perché la mia amica me ne parla sempre – quello reale. Inseguito anche disperatamente, dato che da qualche anno l’istituto sta perdendo alunni, complice anche una grave crisi del settore industriale per il quale la scuola è il serbatoio principale di addetti. Quindi contrazione seria delle iscrizioni, e tagli al personale docente.
Urge un serio programma di comunicazione per rilanciare l’istituto, nell’attesa che l’economia locale si metta a girare di nuovo e torni a richiedere mani (è una scuola d’arte) e cervelli freschi. Un programma che punti ad acquisire visibilità e di un certo tipo, dando un’immagine di serietà, e rilanciando anche la dimensione formativa e culturale dell’istituto, evidenziando il fatto che la scuola rilascia un diploma quinquennale che consente l’accesso a tutte le facoltà universitarie. Questo per attirare quel target di studenti che non ha ancora deciso esattamente quello che vuole fare, e che potrebbe continuare a studiare anche dopo il diploma.
Buttando lì qualche idea, il programma dovrebbe imprescindibilmente comprendere un nuovo sito interattivo con un blog in cui gli studenti si rivolgono ai loro futuri compagni per raccontare della loro scuola, e magari anche uno dei professori (che ne evidenziasse la dimensione umana prima ancora che quella accademica). Poi una newsletter da mandare alle scuole medie (ed eventualmente agli alunni di terza media dotati di computer a casa propria) per spiegare “come è bello e quanto utile frequentare quella scuola”, e dando tutte le informazioni del caso. Insomma dotarsi degli strumenti per instaurare un dialogo con i potenziali clienti. Troppo web 2.0 per il nostro sistena scolastico ?

lunedì 21 maggio 2007

Pane, amore e sanità (ma poca fantasia !)  


Pane, amore e sanità. E' lo slogan scelto per la campagna del Ministero della Salute per ridare lustro all’immagine della sanità pubblica italiana, disastrata dai recenti (gravi) episodi di malasanità.
La foto (di Oliverio Toscani) ritrae il primo piano di una rubiconda infermiera dall’aspetto che scoppia di salute. Sorridente come tutti vorremmo le infermiere fossero. Scopo della campagna è quello di rappresentare le cose belle e buone della sanità.
Oltre a non comunicare assolutamente niente, allo stesso modo della pubblicità della Regione Calabria di cui avevo parlato in un altro post, il manifesto del Ministero della Salute è anche abbastanza irritante. Non soltanto non ci spiega perché la sanità è bella, ma contraddice l’evidenza.
La sanità italiana non è bella, è diciamo, quasi sempre passabile. Ma non sempre. A volte ci si dimentica di disinfettare le sale operatorie permettendo il proliferare di pericolosi batteri, o di attaccare i respiratori al gruppo di continuità, di controllare che i tubi che portano l’ossigeno ai pazienti non inviino qualche altro gas. E’ vero, nella maggior parte dei casi la sanità italiana più o meno funziona. Talvolta anche molto molto bene. Talvolta in maniera sufficiente. Ma a volte fa dei rotti che sono sotto gli occhi di tutti. Se la sanità italiana fosse proprio bella, il manifesto sarebbe superfluo. Ma dato che non lo è, forse si poteva costruire la campagna con altri slogan. Che dicessero, per esempio, qualcosa come: non siamo ancora belli ma ci stiamo impegnando per diventarlo. Più vero e più onesto (e poi impegnarsi davvero per cambiare quello che deve essere cambiato).

lunedì 14 maggio 2007

Comunicazione e comportamenti: perché la prima non può supplire ai secondi 


Un cliente della Repubblica Ceca mi spedisce alcuni campioni di depliant (nuovi) per posta. Sono imballati dentro una busta di carta. Ecco che cosa ricevo: una busta di plastica contenente i residui di quello che una volta era una busta cartacea, talmente strappata da sembrare che arrivi direttamente dall’Afghanistan, reduce da un’imboscata dei talebani.

La busta è stata anche bagnata, si sente al tatto e i caratteri dell’indirizzo sono tutti sbavati. Come siano i depliant dentro ve lo lascio immaginare. Riesco a estrarne uno, che in qualche maniera è ancora leggibile, gli altri sono incollati insieme in maniera che se si cerca di separarli si strappano.

Ma l’uovo di Pasqua contiene una sorpresa: un foglio dattiloscritto di Poste Italiane S.p.a, firmato dal MONITORAGGIO QUALITA’ (il maiuscolo è loro), questo sì perfettamente ordinato, asciutto, leggibile. Recita:

L’allegato invio è stato accidentalmente lacerato dai congegni di meccanizzazione postale.

La preghiamo, pertanto, di scusare l’inconveniente dovuto a cause di forza maggiore. Distinti saluti.


Ora, senza stare a cavillare sul fatto che per forza maggiore in genere si intendono guerre, sommosse popolari, eventi della natura come inondazioni, ecc, contro i quali anche la più perfetta macchina organizzativa niente può (e non situazioni causate da cattiva organizzazione dell’azienda stessa come il malfunzionamento dei macchinari), mi preme fare due riflessioni a caldo su come è intesa la funzione Comunicazione nelle Poste Italiane Spa:

1) evidentemente non si tiene conto del fatto che l’80 % della comunicazione passa attraverso i comportamenti. Questi prevedono un’offerta di risarcimento o di altra compensazione nel caso di un cattivo servizio. Scusarsi e basta non è sufficiente.

2) Manca l’integrazione delle varie funzioni comunicative: le Poste lavorano molto bene come comunicazione istituzionale (sito internet ricco di informazioni, depliant sui prodotti offerti esaurienti e con una grafica molto accattivante, numero verde per le informazioni sull’andamento dei titoli, ecc). Però la comunicazione di un’azienda non si esaurisce qui.

L’immagine e la reputazione si costruiscono – anche e soprattutto - attraverso i comportamenti di chi ha che fare – a vario titolo – con il pubblico. Compresi gli addetti al servizio Monitoraggio Qualità. Ai quali è evidente che nessuno ha mai spiegato come ci si rivolge a un cliente danneggiato.

sabato 12 maggio 2007

Toni Muzi Falconi contro i Matusalemme delle RP 


Largo ai giovani potrebbe essere lo slogan riassuntivo del commento di Toni Muzi Falconi pubblicato di recente sul sito della Ferpi.

Secondo lui il giovane laureato e masterizzato in comunicazione conosce molto meglio le dimensioni strategiche e istituzionali del mestiere. Mentre l’anziano invece ne ha una conoscenza artigianale, empirica, “situazionale”. L’unico punto a suo favore è che ha un vasto network di conoscenze (accumulato negli anni). E ha bisogno del supporto del suddetto giovane per trovare ancora uno spazio in azienda.

Non sono d’accordo.

A parte che non mi piace ragionare per categorie (i giovani, gli anziani, le donne, ecc), meno ancora condivido l'affermazione tout court che gli “anziani si devono mettere da parte e lasciare il posto ai giovani”. Ma perché ? (e poi chi gliela paga la pensione visto che non ci sono soldi ?)

Prima di tutto considero assurdo il voler porre dei limiti di età in un’epoca che sta spostando sempre più avanti (per fortuna !) i confini della vita media e anche della giovinezza. Con la conseguenza che gente con un’età alla quale una volta si aveva l’arteriosclerosi galoppante adesso ha ancora un cervello che funziona benissimo e, perché no, voglia di darsi da fare.
E magari li usa entrambi per aggiornarsi, e ha studiato la teoria e la strategia della comunicazione.

Scienze della Comunicazione è una facoltà relativamente nuova, e chi ha più di trenta-trentacinque anni se ha fatto l’università ha studiato altro. Per amore o per forza. Poi magari si è specializzato in seguito e non mancano neanche tanti che hanno appreso questo lavoro sul campo, rubando il mestiere a chi lo faceva già. E lavorano benissimo. E continuano ad aggiornarsi.

D’altra parte si tratta di un settore – sia la teoria che la pratica - in inarrestabile evoluzione, e l’aggiornamento continuo toccherà anche ai laureati e masterizzati in comunicazione, se non vorranno che il loro patrimonio di conoscenze sia considerato “datato” a pochi anni dalla laurea.

E allora lasciamo che vada avanti, e si faccia posto, chi è bravo, chi ha studiato, fatto esperienze, ha voglia di fare, e ha capito che nella vita non si finisce mai di imparare (e di studiare). Più o meno giovane che sia.

mercoledì 2 maggio 2007

Gli ultimi saranno i primi, ma Oliviero Toscani non centra l’obiettivo  























Gli ultimi saranno i primi
è il titolo della campagna pubblicitaria che la Regione Calabria ha commissionato a Oliviero Toscani per “riposizionare” la reputazione della gente del posto. Motivazione: nell’immaginario collettivo degli italiani i calabresi risulterebbero gente malavitosa, inaffidabile e incivile. Insomma: dei terroni, e per giunta della peggiore specie. Sono questi infatti gli aggettivi – intenzionalmente ironici - utilizzati dai copy a corredo delle sei fotografie scattate dal bravo Oliviero, che mostrano gruppi di adolescenti locali: belli, simpatici, sorridenti, calabresi doc. Messi lì per confutare i pregiudizi e preconcetti degli altri italiani e dimostrare che non è così. Almeno stando alle parole del presidente della Regione Agazio Loiero, alla presentazione ufficiale della campagna, a febbraio. Più che confutare in realtà, i ragazzi hanno l’aria di chi si limita a farsi un baffo delle accuse. Senza preoccuparsi di dimostrare perché non sono vere. Manca infatti un qualsiasi accenno ai motivi per cui non dovrebbero essere considerati così.
Ma la Calabria ha ben altre frecce nel suo arco. Perché non le usa ? Non avrebbe avuto molto più senso fotografare i gruppi di giovani al lavoro nelle cooperative sorte sui terreni confiscati alla ‘ndrangheta ? Per esempio i soci della coop Valle del Marro, che in questi giorni stanno faticosamente ricostruendo quasi da zero sulle devastazioni dell’ultima incursione dei mafiosi. A rischio della vita, perché la ‘ndrangheta non scherza. Per avere un futuro. E per darlo alla loro terra e ai loro conterranei. A tutti i calabresi. Meno patinati forse, dei ragazzi-modelli scelti da Toscani, ma forti, vincenti, con un coraggio da leone. Sono loro il vero volto della Calabria, da fare vedere all’Italia e al mondo.