venerdì 28 dicembre 2007

Come scrivere un comunicato stampa e farsi pubblicare 

I giornalisti sono gente impegnata, si sa, sempre in lotta con il tempo e anche con lo spazio (a disposizione sul giornale). Farsi prendere in considerazione da loro non è la cosa più facile del mondo. Occorre avere qualcosa di interessante da dire, che faccia notizia.

Ogni comunicato stampa va quindi redatto in questa ottica, altrimenti, per quanto ben scritto, non sarà pubblicato.

Bisogna mettersi al posto del giornalista e abituarsi a pensare come lui.

Che cosa interessa alla gente, che cosa vuole leggere ?

E’ utile porsi alcune di queste domande:

che cosa rende la mia azienda diversa dagli altri ? In che cosa sono più in gamba dei miei concorrenti ? Ho dei progetti particolari che vorrei realizzare in futuro ? Ci sono episodi del passato, argomenti, dettagli che fanno colore, colpiscono l’attenzione ?

Una cosa che di solito piace a chi legge è quando le informazioni tecniche sono collegate ad avvenimenti concreti. Il contrasto risulta attraente, e permette a tutti di capire di che cosa si sta parlando, anche a chi non conosce il prodotto.

Per esempio se vendete con successo lavatrici in tutto il mondo, pubblicizzandone la centrifuga che raggiunge i 1000 giri al minuto, potete raccontare di quella volta che un cliente tedesco, di professione gommista, si è preso la briga, utilizzando uno strumento del mestiere, di misurare i giri. E vi ha scritto protestando, perché lui ne ha contati 980 !

Insomma l’informazione va sviluppata e confezionata in modo che parlando del vostro prodotto o della vostra attività in generale se ne possa trarre una storia interessante da leggere e, perché no, che si fa ricordare.

mercoledì 26 dicembre 2007

The Day After: miniguida d’emergenza per gestire il dopo citazione sui media  


Pensata per i piccoli imprenditori che vedono finalmente e con piacere la loro azienda citata in un articolo di giornale o in un servizio televisivo, in genere a carattere locale.

Bene, il momento è arrivato, il giornalista che ti aveva finora snobbato ti ha concesso un’intervista, ha pubblicato il tuo comunicato, ha citato la tua azienda e/o il tuo prodotto: sei sui giornali (o in televisione).

Adesso devi stare attento a non farti trovare impreparato, se non vuoi perdere gli eventuali contatti e vuoi sfruttare le opportunità che ti si offrono in questo momento di notorietà.

Un'apparizione sui media infatti serve a poco se non è seguita da una serie di azioni che possano concretizzarne il vantaggio.

Quindi, se non vuoi vanificare tutto questo, non considerarlo un punto di arrivo ma di partenza. Adesso che l’interesse del pubblico è concentrato su di te, devi saperlo gestire, altrimenti non solo lo perderai, ma sarà anche controproducente perché lascerai una sensazione di inconsistenza.

Per cominciare, aggiorna immediatamente il sito internet: avresti già dovuto farlo, ma se non ci hai ancora pensato corri subito ai ripari.

Non è il momento per i grandi restyling. Il tempo è poco, trovalo però per mettere a posto questi dati: indirizzo, numeri di telefono e fax, indirizzi e-mail devono essere assolutamente aggiornati. Se ti sei trasferito e nel sito ci sono ancora quelli vecchi, chiama il tuo webmaster e falli modificare immediatamente.

Se sei finito sui giornali perché hai lanciato un nuovo prodotto puoi far inserire nel sito un modulo specifico da compilare per avere ulteriori informazioni e/o per ricevere a casa un opuscolo informativo (se lo hai fatto preparare, altrimenti lascia perdere perché prima che sia pronto l’interesse eventuale sarà evaporato).

Fai in modo che chi scrive ottenga sempre una risposta. Possibilmente entro due giorni dalla richiesta, quindi non dimenticare di controllare assiduamente la posta elettronica. Va da sé che il personale incaricato di rispondere deve conoscere il prodotto a menadito e, se ci sono condizioni di vendita particolari previste per questo prodotto, deve esserne adeguatamente informato.

Se hai una sezione News che non aggiorni da prima del diluvio, farà una pessima impressione, inserisci almeno una/due notizie recenti, anche non importantissime, basta che la data sia vicina: il sito acquisterà subito un po’ di freschezza.

Informa tutti i tuoi dipendenti del fatto che l’articolo è stato pubblicato, acquista qualche copia in più del giornale da conservare, fa’ loro leggere l’articolo in modo che sappiano che cosa dice: se qualche esterno all’azienda dovesse citarlo eviterai l’effetto deleterio da caduta dalle nuvole.

Non sarebbe male inserire l’articolo nella sezione News sotto “dicono di noi”, in questo modo l’effetto si prolungherà nel tempo perché tutti quelli a cui sarà sfuggito lo potranno leggere sul sito internet anche in futuro.

Il segreto è farsi trovare pronti, per cui chi viene in contatto con l’azienda via internet, e-mail o telefonica dovrà avere l’impressione che tutti conoscono bene l’argomento e sanno rispondere con competenza, che l’azienda è preparata e che non è nuova a cose del genere.

Non sarebbe male infine sfruttare questa opportunità per fare un salto di qualità, cominciando a occuparsi di comunicazione in maniera organizzata e non sporadica. Ma questo è ancora un altro discorso...


lunedì 17 dicembre 2007

Un po' di comunicazione dalla provincia di Alessandria 

Di tanto in tanto mi piace tornare a occuparmi di iniziative di comunicazione della mia zona, l’alessandrino. Me ne danno l’occasione due inserzioni a piena pagina, pubblicate sul trisettimanale locale.


La prima è della Provincia di Alessandria, non nuova a iniziative del genere. Ne avevo precedentemente parlato nel primo post in assoluto pubblicato su questo blog. Questa volta, in collaborazione con la Regione Piemonte (ai lavori ha partecipato anche l'Anas), la Provincia acquista una mezza pagina per pubblicizzare - in un comunicato firmato dall'assessore regionale ai Trasporti, Daniele Borioli, e dal presidente della Provincia, Paolo Filippi, una importante novità nella viabilità: l’apertura di un nuovo tratto della tangenziale , a lungo attesa. Approfittando nel contempo per ricordare i progetti in via di completamento.


L’altra è della Guala Closures S.p.A., la multinazionale vanto dell’industria alessandrina, che festeggia il recente trasferimento (“il nostro primo capodanno”) in una nuova, modernissima sede.
Come già l’anno scorso, anche questo Natale è per l’azienda occasione per ringraziare tutti i dipendenti e le loro famiglie e per augurare Buone Feste e uno splendido 2008 anche ai concittadini. Lo fa con un’intera pagina di giornale, per bocca del suo presidente e amministratore delegato, un sorridente Marco Giovannini. “Il nostro successo è frutto della cultura di questo territorio”. Una frase che riassume buona parte della filosofia della Guala Closures.

giovedì 13 dicembre 2007

Thyssen Krupp: un minuto di silenzio

Avevo pensato di scrivere un post sul crisis management, l'ambito più difficile e complesso con cui chi fa comunicazione d'azienda deve confrontarsi (anche se spera di non doverlo mai fare), e commentare la comunicazione di crisi adottata dalla Thyssen Krupp, i comunicati pubblicati sul loro sito.

Ma non me la sono sentita. Oggi, nel giorno dei funerali delle vittime, preferisco lasciare spazio al silenzio.

martedì 4 dicembre 2007

Public relations, actually, not marketing  

Chi si occupa di relazioni pubbliche in azienda avverte sovente la necessità di differenziare la propria area di competenza dal marketing, per evitare che la propria funzione ne sia assorbita, perdendo la sua identità e riducendosi a strumento di supporto dei programmi altrui.

Che cosa delle relazioni pubbliche non è assolutamente marketing ?

In quali situazioni si deve comunicare senza parlare di prodotti/servizi, target, posizionamento, canali di vendita, ma dell’azienda nel suo complesso ?

Ecco un elenco delle principali.

Le relazioni con le istituzioni pubbliche (Comune, Provincia, Regione, stato, enti territoriali, ecc). Qui si parla di come l’azienda si pone sul territorio, più o meno vasto, governato da una amministrazione, nel rispetto delle leggi e dei regolamenti, e del contributo che può apportare in termini di sviluppo economico, impulso all’occupazione, rispetto dell’ambiente, finalità sociali (per esempio la costruzione di un asilo nido aziendale aperto anche ai figli di non dipendenti).

Le relazioni con associazioni senza scopo di lucro. Per esempio associazioni di ambientalisti interessati allo sviluppo di programmi aziendali di salvaguardia dell’ambiente. Oppure associazioni di sostegno dell’handicap in cerca di fondi, che potrebbero contribuire al buon nome dell’azienda in certi ambienti. O ancora enti di formazione che possono inserire allievi per stage.

Le relazioni con i dipendenti. Ancora troppo spesso la comunicazione interna è trattata alla stregua di una cenerentola, come se il fatto che i dipendenti si trovino già “sul posto” rendesse superfluo dialogare con loro.

Le relazioni con le banche. La comunicazione della propria situazione economico-finanziaria è diventata ancora più importante dopo l’entrata in vigore degli accordi di Basilea 2, e quindi di parametri di concessione del credito bancario più rigorosi e obiettivi. Ne consegue la necessità di saper comunicare al meglio il proprio benessere economico.

Le relazioni con gli investitori. Queste riguardano più specificamente le aziende quotate in borsa, ma il succo non cambia: se l’azienda non dimostra chiaramente di avere una solida posizione economica gli azionisti potrebbero fare altre scelte.

Le relazioni con la stampa. Ovviamente quelle che non riguardano i prodotti/servizi offerti. Questa categoria comprende tutti quei comunicati stampa, interviste, contatti con i giornalisti, in occasione di avvenimenti aziendali di un certo tipo. A seconda dei casi sarà l’inaugurazione di una nuova filiale, il trasferimento presso una sede più grande, una joint venture in un altro paese, un cambio ai vertici aziendali, l’acquisizione dell’azienda da parte di un gruppo, ecc. Tutte quelle notizie che i giornalisti pubblicano perché di interesse per i lettori, anche se non (proprio perché non ?) comprendono la citazione che è appena stato lanciato l’aspirapolvere X.

Come si può vedere, la necessità di una differenziazione, almeno teorica, delle due discipline non è pura accademia, ma serve anche per ricordare alle aziende l’esistenza di questi ambiti delle relazioni pubbliche, importanti quanto spesso trascurati, fino a che non si è chiamati in causa da eventi esterni e ci si trova a doversene occupare senza aver costruito la giusta rete di relazioni.

venerdì 30 novembre 2007

La comunicazione è femmina 

E' il titolo di un interessante articolo a firma di Paola Viglietti pubblicato nella neswletter odierna di Monster. Da una inchiesta risulta che le donne che lavorano nel settore della comunicazione, relazioni pubbliche e uffici stampa, pubblici e privati, sono in media il 70 % del totale delle risorse umane impiegate in questo comparto.

Non solo, ancora più interessante e decisamente in controtendenza con gli altri settori, il 77,8 dei dirigenti dell'area comunicazione sono donne.

Tra le doti che hanno permesso alle donne di farsi strada l'autrice cita tenacia e determinazione, chiarezza di vedute, tensione verso l'obiettivo e formazione continua, in una parola "lavoro duro", le stesse che avevo indicato come caratterizzanti la professione di comunicatore d'azienda in un mio post di qualche tempo fa. A quanto pare le donne hanno le carte in regola per farcela.

Molto incoraggiante per le professioniste del settore, e per le aspiranti tali.

E allora, prendiamone atto come ulteriore incoraggiamento, e buon cammino a tutte...

giovedì 29 novembre 2007

Buon compleanno Blog !


Oggi L'Officina della Comunicazione spegne la sua prima candelina. E' già passato un anno dal mio primo post, il 29 novembre 2006.

Buon compleanno Blog !

domenica 18 novembre 2007

Attestazioni di stima 


E' sempre una soddisfazione quando il proprio lavoro è apprezzato.

Per questo vorrei ringraziare l'agenzia Bit Dreams ADV & comunicazione di S. Valentino Torio (SA) che ha pubblicato sulla home page del proprio sito il mio articolo Come fare comunicazione in una PMI (senza rimetterci l'osso del collo).

L'articolo era stato pubblicato originariamente lo scorso aprile sul portale Comunitàzione.

In seguito è stato ripreso anche dai seguenti siti:

Egometria


e

ePoint il punto del web

Segnalo inoltre che alcuni studenti di una scuola di perfezionamento in gestione aziendale l'hanno copiato spudoratamente spacciandolo per una loro tesina e pubblicandolo in internet in un file di pdf con le loro firme. Ho chiesto alla direzione della scuola di eliminarlo o di firmarlo con il nome della vera autrice. Se questo non succederà pubblicherò prossimamente il nome della scuola e degli studenti che lo hanno firmato.

sabato 10 novembre 2007

Niente alcolici dopo le 2, una nuova immagine per le discoteche 


Il divieto di vendere alcolici e superacolici nei locali dopo le 2 di notte ha fatto crollare gli incassi, si lamentano i gestori delle discoteche.

A sentire loro, erano già rovinati quando è passata la legge contro il fumo. A distanza di un po’ di tempo, non è difficile constatare che sono sopravvissuti tutti benissimo.

Le situazioni cambiano e si evolvono, in qualsiasi tipo di mercato, gli imprenditori lo sanno bene. Quelli che hanno successo sono quelli che sanno adattarsi alle novità, e qualche volta precorrere i cambiamenti.

In un ambiente privo di fumo, quindi più sano, non viene anche voglia di bere più genuino ? E se invece che piangersi addosso i gestori dei locali non incentivassero la vendita di bevande “salutiste”: cocktail analcolici, spremute di frutta biologica, integratori salinici per chi ha ballato tutta la sera ?

Potrebbe essere l’inizio di una nuova, redditizia, moda: la sensibilità per l’argomento, considerato il successo dei club del fitness e del mangiare biologico, non manca.

La discoteca, da locale fumoso dove ci si sballa con i superalcolici diventerebbe un ambiente sano in cui respirare e bere salute.

venerdì 2 novembre 2007

Noi sì che siamo responsabili 

La direzione non si assume alcuna responsabilità per eventuali errori e anomalie.

La frase si trova in fondo alla pagina della Mappa del sito di un’azienda. Messa lì fa un po' sorridere.

Ritengo voglia dire che se un link non funziona non è colpa dell’azienda (ma del webmaster che gestisce il sito).

Ok, il funzionamento tecnico del sito sarà anche competenza del webmaster, ma il sito è la casa dell’azienda, l’unica interfaccia con la maggior parte dei potenziali clienti.

Se l’azienda non si assume la responsabilità nemmeno del funzionamento di qualche link, non viene da pensare che potrebbe declinare volentieri anche altre responsabilità (per prodotti difettosi, per esempio) ?

Non si faceva più bella figura a scrivere in caso di problemi tecnici contattare il webmaster a questo indirizzo e-mail ?



lunedì 29 ottobre 2007

La costosa inutilità dell’originale a ogni costo 

Esiste una mitologia che circonda chi lavora nel campo della comunicazione per cui, se uno non sfodera a getto straordinarie novità, non può avere successo. A maggior ragione, nell’epoca dei blog, vlog, podcast, social media, market conversations e wiki vari è difficile resistere alla tentazione di credere di dover realizzare prodotti comunicativi roboanti & eclatanti, pena l’essere considerato una nullità priva di talento.

E così, su questa scia, ecco il sito internet in total Flash, con il menù a tendina che ti scompare sotto al puntatore del mouse ogni volta che cerchi disperatamente di cliccare su un link, quasi fosse uno scherzo maligno. O il pieghevole che sembra un libro per bambini a tre dimensioni (di quelli che quando apri la pagina i personaggi si rizzano in piedi mentre alle loro spalle un castello si erge in un battibaleno) zeppo di informazioni troppo vaghe. O la serata in discoteca con tanto di personaggio famoso (magari calciatore o ex GF) dove la maggior parte degli avventori non sa neanche a che prodotto si fa la reclame (e neanche lo vuole sapere).

Risultati dell’operazione ? Quasi zero, a fronte di ingenti costi. Quando magari sarebbe bastato un mini sito tutto in HTML ma completo e sempre aggiornato (e con i link funzionanti bene) o un depliant con i testi giusti e i recapiti per contattare l’azienda e ottenere maggiori delucidazioni.
Sono poco trendy ? Può darsi, ma secondo me gli strumenti di cui sopra vanno bene quando li si sa usare con proprietà e soprattutto si è disposti a considerarli dei mezzi e mai dei fini, senza lasciarsi trascinare dall’entusiasmo della novità fine a se stessa.

mercoledì 24 ottobre 2007

Sostenete la petizione contro l'imposta sui blog

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Per maggiori informazioni sulla petizione contro la tassa sui blog cliccare qui

martedì 23 ottobre 2007

Pubblicità, comunicazione e confusione  



La confusione terminologica che pervade il settore della comunicazione d’azienda forse non è dovuta soltanto all’ignoranza (intesa come non sapere) dei non addetti ai lavori.
In parte è alimentata anche da chi opera nel settore. Che invece dovrebbe essere il primo a fare chiarezza.
Un esempio è rappresentato dall’agenzia pubblicitaria Sidesign Advertising, che si descrive così:

L’agenzia pubblicitaria Sidesign Advertising è uno strumento nato per creare l’immagine istituzionale, la strategia di comunicazione e le campagne creative delle aziende. I nostri progetti si occupano della comunicazione in modo completo, sfruttando la creatività a 360°

A questo punto forse si dovrebbe puntualizzare che:

a) Per creare un’immagine istituzionale, cioè l’immagine dell’azienda nel suo complesso, adeguata al raggiungimento dei fini aziendali, non basta né un’uscita pubblicitaria né un’intera campagna. L’immagine dell’azienda, la sua reputazione, si costruiscono con un lavoro di lungo termine e ad esse contribuiscono in larga parte i comportamenti dell’azienda: i clienti sono soddisfatti ? I fornitori sono pagati nei termini ? L’azienda inquina ? e via dicendo.

b) la pubblicità è uno strumento (e uno soltanto) dei molti che la comunicazione di un’azienda può scegliere di utilizzare. Men che mai si identifica con un’intera strategia di comunicazione. Che nasce da molto più lontano. Prima da un lavoro di relazioni pubbliche (creazione e mantenimento di una rete di relazioni con gli stakeholder, ascolto e integrazione delle loro istanze nelle decisioni aziendali) e solo dopo dall’attuazione di una strategia di comunicazione che può contemplare (ma non è detto che lo faccia) anche l’uso della pubblicità.

c) Il ruolo dell’agenzia pubblicitaria è quindi in ultima analisi quello di fornire gli strumenti per alcuni di questi passaggi, senza avere la pretesa di stabilire un’intera strategia comunicativa, che invece viene studiata all’interno dell’azienda.

d) Se invece l’agenzia si dedica anche alla costruzione di una strategia comunicativa, realizzando un lavoro di largo respiro a stretto contatto con il management aziendale perché non definirsi “agenzia di relazioni pubbliche” ?

Credo che molta dell’insoddisfazione che la aziende accumulano verso le autodefinentesi agenzie “pubblicitarie” o “di comunicazione” o di “marketing” derivi appunto da questa mancanza di chiarezza: non si sa bene con chi si ha a che fare, che cosa si può ottenere e che cosa non si potrà chiedere.


venerdì 19 ottobre 2007

martedì 16 ottobre 2007

I comunicatori: artisti o artigiani ? 


Il titolo del blog dovrebbe già anticipare come la penso. Ho deciso di chiamarlo L’Officina della Comunicazione (prima di accorgermi che esisteva un progetto con questo nome, dopo che una verifica su Blogger aveva escluso omonimie, ma senza controllare su Google, un errore che, lo ammetto, non si dovrebbe fare) perché mi piace l’idea che il lavoro del comunicatore d’azienda abbia molto in comune con quello che si svolge in un’officina o in un laboratorio artigianale.
Proficue relazioni con i pubblici influenti e, tramite queste, la realizzazione di un’immagine e di una reputazione aziendale positive, si costruiscono nel tempo, con tanta costanza e pazienza, limando qui, aggiungendo là, provando e rifacendo, finché non si approda a un risultato ottimale.
Quali sono quindi le qualità che un comunicatore d’azienda deve possedere ? Capacità strategiche ? Certo, ormai sappiamo che se non sono strategiche le relazioni pubbliche sono poco efficaci. Doti comunicative ? Altrimenti non avrebbe scelto questo lavoro. Guizzi di creatività ? Ovvio, se uno fa il copywriter in un’agenzia saranno anche utili, ma in azienda ? (tanto c’è l’agenzia).
E perché non anche pazienza (i risultati si vedono sul lungo termine, non stiamo mica parlando di pubblicità, che ha un impatto immediato), perseveranza (per tenere duro quando il management scalpita se non vede cambiare le cose abbastanza in fretta) perché se si abbandona il lavoro a metà va perso tutto quello che si è costruito fino a quel momento), cura dei dettagli a volte fino alla pignoleria, perché il lavoro non risulti sciatto. Non sono queste doti da artigiano - nel senso migliore e più elevato del termine ?
Credo che la maggior parte delle aziende abbiano più bisogno di gente con queste qualità, nei loro uffici Comunicazione, piuttosto che di personaggi capaci di colpi di genio ma anche di sregolatezze.

venerdì 5 ottobre 2007

A chi servono le relazioni pubbliche (3)

Corrispondenza e-mail


Studente:

Buongiorno,

sono uno studente di Design del corso Tale presso l’Università Tale.

Sto facendo una tesina e vorrei sapere come sono progettati e costruiti i vostri prodotti.

Segue formula di saluto.


Azienda:

Buongiorno a lei,

la ringraziamo dell’interesse verso la nostra azienda e i nostri prodotti.

Dato che l’argomento che ci chiede di trattare è molto vasto, per poterle rispondere avremmo bisogno di ricevere da lei delle domande un po’ più precise, una traccia da seguire.

Sarà nostra cura fornirle tutte le informazioni.

Saluti. Ecc


Studente (insiste):

Volevo sapere come sono fatti i vostri prodotti, i materiali e le procedure costruttive. Mi servono per il mio corso di Design.



Che dire ? Ci vorrebbe qualche ora (giornata ?) per fornire una pappa pronta anche solo parzialmente esaustiva a questioni poste in maniera così vaga, e noi tutto quel tempo non ce l’abbiamo.

La nostra azienda ha già aiutato vari studenti a fare tesi e tesine sui nostri prodotti, sia fornendo materiale tecnico e illustrativo e rispondendo alle domande, sia accompagnandoli a visitare lo stabilimento, con le opportune spiegazioni. E’ inoltre permesso di fotografare o filmare le fasi della produzione.

Però la tesi, no, quella proprio non possiamo farvela.

lunedì 1 ottobre 2007

Nelle rp il pubblico batte il privato? 

Leggo nel dossier di Toni Muzi Falconi, Social media e relazioni pubbliche: come cambia nel mondo la funzione delle rp del 9 maggio 2007, che la funzione rp è presente nel 60 % delle amministrazioni pubbliche contro il 30 % delle aziende private (il restante 10 % riguarda il settore sociale).

Mi colpisce la percentuale dimezzata del privato rispetto al pubblico.

Anche negli Stati Uniti il settore pubblico è in vantaggio, con un 50 % contro un 40 % del privato, ma con un divario di molto minore.

Il pregiudizio (?) corrente associa il privato a concetti di efficienza, rapidità di esecuzione, qualità, competenza e modernità. Mentre il pubblico è tradizionalmente fatto coincidere con lentezza, disservizi, minori competenze degli operatori e scarsa propensione all’innovazione.

Nelle rp i numeri potrebbero dimostrare il contrario. Ma i numeri a volte dicono poco.

Allora delle due l’una:

- o il settore pubblico ha recepito così bene i dettami della legge 150/2000 e ha potenziato notevolmente la funzione rp nello sforzo di instaurare finalmente un rapporto più aperto con i cittadini

- oppure la proposta di Nicolais di assumere un solo dipendente pubblico per ogni tre che andranno in pensione è indice di un sovraffollamento degli uffici che forse potrebbe riguardare anche la funzione relazioni pubbliche.

sabato 29 settembre 2007

Agenzie di lavoro interinale, carenze di informazioni e comunicazione autogestita  


L’anello debole della comunicazione delle organizzazioni di lavoro ad interim, quelle con i siti internet patinati in cui trovano posto sezioni tipo media room, investor relations, annual report, ecc. sono, scusate se è poco, le agenzie di reclutamento del personale.
E’ quanto risulta da un’inchiesta di Altroconsumo, realizzata tramite finti candidati che si sono presentati per dei colloqui. Ne emerge che il personale delle agenzie sarebbe impreparato, incapace di rivolgere le domande giuste per evidenziare le competenze dei candidati e poco disponibile all’ascolto. Soprattutto non in grado di informare sui diritti e i doveri contrattuali di chi viene assunto da un’azienda tramite un’agenzia.
Tanto da spingere Altroconsumo a realizzare una guida in materia per supplire a questa mancanza.
Dopo la disintermediazione, il prossimo passo sarà la comunicazione autogestita dal fruitore ?

lunedì 24 settembre 2007

Non profit vs no profit: quanti comunicatori ancora non sanno la differenza ?


C’è una bella differenza nel definire un’organizzazione come non profit o no profit. Lo spiega molto bene Paolo D’Anselmi dal sito della Ferpi, in un pezzo di un po’ di tempo fa:

Non profit vuol dire senza scopo di lucro ed ha la sua santificazione nel titolo del libro della mitica professoressa Regina Herzlinger: Financial accounting and managerial control in non profit organizations (South-Western Publishing Co., Cincinnati, 1994).

No profit vuol dire senza profitto, nel senso di senza costrutto. Il contenuto che passa nel lapsus è quindi che l'amore per il non profit racchiude l'odio verso il profitto. E la pretesa di fare a meno di esso. La precisazione è che si può fare a meno del lucro, cioè della appropriazione personale del profitto, ma non del profitto in sé. In ogni operaziione i conti devono alla fine tornare. Il profitto ci deve essere, almeno quello ideale, e questo è chiaro a tutti, ma ci deve essere anche il profitto reale, in senso stretto, quello economico, cioè bisogna guadagnare. Entrate e uscite devono quadrare anche all'orfanotrofio, all'ospedale e in chiesa.

(clicca qui per leggere l’articolo completo)

Ma quanti comunicatori (e giornalisti) ancora non lo sanno ?

Di sicuro ne sono all’oscuro i curatori della campagna pubblicitaria del Credito Valtellinese e gli ideatori del ContoNoProfit, rivolto alle aziende del settore da loro definito appunto no profit.

Un po’ come dire che un’organizzazione senza profitti può aprire un conto (e cosa ci versa ?) per giunta che non rende niente (allusione alle condizioni capestro praticate dalla banca ?). Non molto conveniente, sembrerebbe.

Parafrasando una fin troppo citata campagna pubblicitaria, si potrebbe dire: no profit - no party.

giovedì 20 settembre 2007

Le piccole imprese e la brand equity 

Avere un marchio forte e immediatamente riconoscibile pare sia una necessità imprescindibile per un’azienda nell’era in cui tutti i prodotti sono uguali e la scelta del consumatore avviene in base al brand.
Siete una pmi e non sapete da dove cominciare ?
Realizzate e vendete bulloneria, lavorate l’oro per conto terzi (magari per un marchio famoso) ma il vostro nome non compare, producete cablaggi, pannelli in compensato, cancelli industriali, stampate materie plastiche ? Magari siete anche bravi, ma i vostri prodotti non si vendono nei supermercati, il grande pubblico non li conosce e non li acquista, in pochi hanno sentito parlare di voi.
Siete una piccola o media impresa che lavora bene e fa profitto, il vostro lavoro fornisce ad altri i semilavorati o gli strumenti necessari per realizzare i loro prodotti finiti, quelli che vanno al consumatore. Date lavoro a un buon numero di persone, create ricchezza per la comunità locale. Ma non avete un marchio. Condividete questa sorte con tante piccole aziende che lavorano nei vostri settori o in ambiti affini e vi siete stancati di non essere considerati solo perché il vostro logo, quello che compare sulla vostra carta intestata e sui biglietti da visita dell’imprenditore, non è noto.
Avete deciso che volete più visibilità, maggiore brand awareness.
Cominciate con il non confondere il marchio con il logo. Il marchio rappresenta la vostra identità globale, i valori secondo cui operate e lo stile con cui lo fate, ed è questa identità che dovete curare e sviluppare, essendo consapevoli che ogni azione che l’azienda intraprende contribuisce allo scopo.
Mantenete coerenza con questi valori. Se il vostro punto forte è l’assistenza tecnica, organizzatela con cura maniacale, dalla operatrice telefonica che risponderà con estrema gentilezza anche al cliente seccato (perché ha un problema) fino al tecnico che effettuerà l’intervento con tempestività e competenza. Rispondete sempre alle e-mail dei clienti che chiedono delucidazioni. Realizzate una sezione “soluzioni ai problemi comuni” nel vostro sito internet, sfruttando il know how che vi deriva dalle esperienze compiute e aggiornatela frequentemente, man mano che il vostro patrimonio di conoscenze aumenta. Mettete online i manuali di istruzioni dei vostri prodotti, in modo che possano essere sempre a portata di mano del cliente. Se avete conseguito qualche certificazione rendetelo noto.
E continuate nel tempo senza stancarvi, perché si tratta di un lavoro i cui risultati escono alla distanza.
Il vostro logo non brillerà dalle vetrine dei negozi di scarpe, auto, abbigliamento, ecc ma si diffonderà con successo tra gli operatori del settore.

lunedì 17 settembre 2007

L’anello debole della catena  


La forza di una catena, si dice, si misura da quella del suo anello più debole.

E l’immagine e la reputazione di un’azienda ? Anche. Ma qual è l’anello più debole ?

Non è lo stesso per tutte ma, per le aziende che fanno e-commerce o comunque vendono a distanza spedendo a domicilio, sovente è la consegna. O meglio, il corriere a cui si affida la spedizione.

Chi ha esperienza di questo settore sa che non sono infrequenti – nei periodi prima di Natale e prima delle ferie di agosto sono all’ordine del giorno – questi comportamenti:

1) il corriere non preavvisa telefonicamente la consegna e il destinatario è a lavorare (il corriere consegna in orario lavorativo) e non sapendo del suo arrivo non ha fatto trovare nessuno a casa.

2) il corriere preavvisa la consegna specificando un orario di massima, il destinatario prende mezza giornata di ferie e il corriere non si presenta. Interpellato risponde che ha perso tempo con consegne precedenti/c’era un incidente che ha causato un ingorgo/si è rotto il furgone.

3) Il corriere si reca all’indirizzo del destinatario senza preavvisare la consegna, trova fortunosamente il destinatario in casa – sotto la doccia – e lo obbliga a scendere immediatamente in strada mezzo bagnato (se il collo è pesante e/o voluminoso la consegna è al piano stradale) pena la partenza immediata senza la consegna del pacco.

4) Il corriere arriva con un pacco mezzo danneggiato. Il destinatario, precedentemente erudito dall’azienda in merito, chiede di effettuare un ritiro con riserva di controllo, annotandolo sul documento di trasporto (come previsto dal regolamento) e il corriere lo convince che non nè necessario (così non va nelle grane). A causa della mancanza di riserva, il destinatario non avrà titolo a richiedere il risarcimento danni.

La casistica potrebbe continuare ancora un bel po’. Ma ci fermiamo qua perché i quattro esempi rendono ampiamente l’idea di come il lavoro per realizzare un sito di e-commerce curato, dettagliato, aggiornato, eccetera, possa essere spesso e volentieri boicottato dal corriere. L’ultimo – in ordine di tempo, anello della catena, e spesso quello più debole, perché non fa parte dell’azienda e non gliene importa niente se la reputazione aziendale è danneggiata dalla sua scadente collaborazione.

Si ha voglia a spiegare all’inviperito cliente che telefona subito in azienda per fare le sue rimostranze che il corriere lavora per l’azienda, ma non è l’azienda, è solo un fornitore. Non serve, perché il corriere è stato scelto dall’azienda (non la persona che fa la consegna, ovvio, ma la ditta di spedizioni che offre un determinato servizio) e quindi in quel momento è l’azienda.

Piaccia o no, bisogna tenerne conto.


martedì 11 settembre 2007

Per non dimenticare



Oggi è l'11 settembre, non dimentichiamo...

lunedì 10 settembre 2007

A chi servono le relazioni pubbliche (2) 

L’offerta è vantaggiosa e se di vostro interesse contattataci !

Con viva cordialità.


Segue firma con nome e indirizzo dell’azienda.

Questo lo scarno testo di una comunicazione arrivata all’indirizzo e-mail generale (quello che si trova nel sito internet per intenderci - anziché a quello personale del responsabile tecnico) di un’azienda da parte di un perfetto sconosciuto.

A che cosa si riferisca l’offerta si capisce dalle 5 parole dell’oggetto e-mail (allarmi per i locali aziendali) e, se proprio si vuole aprirlo, dal file allegato.

C’è da chiedersi se chi scrive desideri veramente vendere, oppure debba solo dimostrare di aver fatto un gran volume di offerte.

Ora, passi il fatto di mandare un’e.mail a pioggia per la difficoltà di rintracciare le aziende che potrebbero essere interessate a installare un allarme proprio in questo momento. Però qualche parola in più (considerato che l’e.mail la si scrive una volta sola per tutti i destinatari) non guastava.

Che cos’hanno i vostri allarmi di diverso e di meglio degli altri ? Perché dovrei aprire immediatamente il vostro allegato ed eventualmente contattarvi ? Perché non cestinarvi immediatamente sbuffando per lo spam che mi continua ad arrivare nonostante il filtro ?

Tra dozzine di messaggi di questo tenore, non immaginate quali vantaggi potreste avere con poche frasi in più. Uno per esempio: quello di farvi ricordare – ed eventualmente contattare - se fra qualche mese avrò bisogno di un allarme (o credevate mica di essere così fortunati da trovarmi alla ricerca di un allarme in questo preciso momento ?!).

martedì 4 settembre 2007

A chi servono le relazioni pubbliche ?  

Saper comunicare chi si è, mettersi in relazione con il pubblico di proprio interesse in modo da “vendersi” bene, far percepire il proprio valore, costruire relazioni costruttive ai fini della realizzazione dei propri obiettivi. E’ l’ambito di competenza delle relazioni pubbliche.

Pensare che servano solo alle aziende, agli enti, organizzazioni, ecc. è però limitativo.

Servono anche a tutti coloro che, di propria iniziativa, vogliono relazionarsi con l’azienda, diventare suoi stakeholder.

Come un rivenditore (o sedicente tale, il dubbio è lecito, come si vedrà) che desidererebbe proporre ai suoi clienti i prodotti dell’azienda in questione.

Questo è il testo (riprodotto con il copia e incolla) pervenuto all’ufficio commerciale di un’azienda da uno di questi aspiranti rivenditori.
Vediamo che cosa dice.

Oggetto: richiesta d'informazioni

sapei interessato a diventare un rivenditore ufficiale della mia zona dei vostri prodotti potete farmi sapere qualcosa di più a tale proposito?


Seguono firma e località.

Ebbene: ma chi sei veramente ? perché non descrivi la tua attività, di che cosa ti occupi, che cosa commercializzi nel tuo punto vendita (quanto è grande ? in che tipo di zona sei, centro storico, all’interno di un centro commerciale, zona di grande passaggio, ecc). Conosci già i nostri prodotti, perché li vuoi vendere ?

Perché non ci dici tu qualcosa di più in proposito. Tira fuori gli assi dalla manica, conquistaci con la descrizione del tuo valore, delle tue capacità. Convincici che lavorare con te sarà reciprocamente vantaggioso. Non siamo un’azienda in crisi, così disperata da mettersi nelle mani del primo anonimo (anche se nome e cognome ci sono) che ci chiede di rivendere i nostri prodotti.

Nel caso si decidesse di lavorare con questa persone sarà bene chiedersi: sarà in grado costui di comunicare il valore del mio brand in maniera adeguata, oppure esiste il rischio che, al contrario, lo danneggi ?

venerdì 17 agosto 2007

In vacanza !

Questo blog va in vacanza per le prossime due settimane.

Ci si rivede a settembre.

venerdì 10 agosto 2007

Strategico sarà lei 


Le relazioni pubbliche sono (che lo debbano essere lo sappiamo ma lo sono veramente ?) strategiche, oppure siamo noi del mestiere che ci compiacciamo a usare questo termine a più non posso, nel tentativo di creare con le parole una realtà che fa ancora fatica ad affermarsi ?
Se lo chiede Toni Muzi Falconi in un post sul suo blog ripreso da un commento scritto per la Ferpi.
Si pone il dubbio se sia autoreferenzialità, autocompiacimento, usare in continuazione questo termine.
Visto che in effetti in molte aziende la cultura della strategicità è ancora di là da venire (non solo per quanto riguarda la comunicazione!) e il relatore pubblico si trova a svolgere un ruolo più che altro operativo, potendo influire ben poco sulle decisioni prese ad alto livello, la questione non è oziosa. Anzi, mi viene da pensare che forse l’uso esagerato del termine almeno un vantaggio potrebbe averlo: continuando a insistere, anche lavorando sulla terminologia usata, sul ruolo strategico delle errepì, prima o poi questo diventerà un fatto acquisito, scontato. Cosa che può contribuire, insieme a tanto lavoro da parte degli addetti, a far sì che diventi anche una realtà.

martedì 7 agosto 2007

Il Conversational Analyst: la risposta ai problemi tra azienda e agenzia di comunicazione ? 

Partendo dall’assunto no. 1 del Cluetrain Manifesto che i mercati sono conversazioni, nel suo post Fire your PR firm ? James Clark lancia una provocazione: licenziate la vostra agenzia di relazioni pubbliche.
E, se proprio non volete fare da soli, assumete un consulente che sia veramente “smart”, in gamba. E traccia il ritratto di una nuova figura di professonista delle errepì. Qualcuno in grado di interagire con i clienti, anche potenziali, intrattenendo con loro delle conversazioni in maniera costante, paritaria, chiara, trasparente, costruttiva e in tempo reale. Queste conversazioni esistono sia offline sia online per cui, sostiene Clark, se la vostra agenzia non è in grado di partecipare a entrambi i mondi, licenziatela. E sostituitela con un Conversational Analyst. Un analista di conversazioni.
Con le seguenti caratteristiche, che cito testualmente (il corsivo è nel testo originale):

Must have mainstream media experience as a journalist or communications practitioner. Strong social and analytical capabilities. Has experience with and enthusiasm for blogging, podcasting, RSS feeds, tagging, wikis, e-mail publishing, web analytics, cross-campaign management, adserving, affiliate marketing and online news aggregators. Has maintained a personal or corporate blog for at least one year. Has managed pay-per-click search marketing campaigns across Google, Yahoo, Looksmart, and other services. Can read and understand web analytics and tell a client with confidence what market to speak to. […] HTML skills required.

Che sia finalmente la soluzione ai problemi delle aziende che non sanno a chi affidarsi ? E in caso affermativo, quante figure professionali con quelle caratteristiche ci sono oggi in Italia ?

martedì 31 luglio 2007

La relazione azienda-agenzia di comunicazione, gioie e dolori di un rapporto difficile 

Uno dei problemi che chi si occupa di comunicazione in un’azienda (un responsabile, un addetto, ma sovente nelle pmi è l’imprenditore stesso) si trova a dover gestire, è il rapporto con l’agenzia incaricata di realizzare gli strumenti per la comunicazione.
Mi ci ha fatto riflettere un interessante commento, inserito ieri, a un mio post di aprile. L’autore, Luigi, piccolo imprenditore, racconta di un cattivo rapporto con pseudoagenzie di comunicazione-web design-internet providing, ecc. chi più ne ha più ne metta. Perché, a quanto pare, molti sono gli improvvisati del mestiere che si ammantano di nomi altisonanti, poche le persone serie, preparate e competenti. Gli altri cavalcano la tigre internet con tutti gli annessi e connessi degli ultimi ritrovati tecnologici (bluetooth, ipod, ecc. l’importante è che il nome sia in inglese e possibilmente incomprensibile ai comuni mortali così rende bene in fattura). Con il risultato che spesso farsi fare un sito internet, che per le aziende molto piccole è lo strumento principe (quando non l’unico) per parlare con il mondo esterno, diventa un calvario: tempi di realizzazione che si allungano a dismisura, siti che restano a metà zeppi di famigerati errori 404 (file not found), sezioni in perenne costruzione, pagine non aggiornate, che irritano i visitatori fino a non farli tornare più.
Che fare ? Non fermarsi alla prima agenzia, che magari ci ha contattato via mail insieme ad altre duecento aziende finite nel database degli indirizzi. Vietato anche affidare la realizzazione del proprio sito a qualche gruppo di volenterosi ragazzotti che conoscono un po’ di flash e un po’ di html, solo per risparmiare qualche centinaio di euro. Cercare un’agenzia seria, dopo aver visto parecchi siti internet che ha realizzato e che ci piacciono. Soprattutto chiarirsi bene le idee sulle proprie strategie comunicative, che non si possono lasciar gestire all’agenzia. Piuttosto affidarsi prima a un consulente/agenzia di relazioni pubbliche che ci possa indirizzare. Il sito può venire dopo, quando si è ben sicuri di come si vuole porsi. Segnalo inoltre un vecchio post di Mike Manuel di Media Guerrilla sulle relazioni azienda-agenzia (in questo caso di relazioni pubbliche ma poi i criteri di scelta sono gli stessi)che ho trovato molto utile.
Buona fortuna Luigi, sono sicura che a Torino c’è anche gente valida in grado di realizzare un sito web decente.

sabato 28 luglio 2007

E' nato Ufficistampa.info 



Girando per i blog ho appreso di una bella iniziativa di Carlo Odello, rivolta a chi di mestiere fa l'addetto stampa, e di cui potete trovare tutti i dettagli qui

Testimonial poco coerenti con i messaggi ?  


Parte oggi la campagna radiofonica per la sicurezza stradale del Ministero dei Trasporti, sotto l’altro patrocinio del Presidente della Repubblica.

Sicuramente il periodo è azzeccato: tra la fine di luglio e i primi di agosto migliaia di persone sulle strade rientrano dalle vacanze estive e altrettante partono.

Ma i politici come testimonial (bontà loro), che prestano le loro voci per invitare a rispettare il codice della strada, saranno veramente credibili ?

Lodevole l’iniziativa (oltre che drammaticamente necessaria) ma queste persone appartengono a una categoria che puntualmente invita gli italiani a fare sacrifici, mentre loro vivono nel lusso.

Il messaggio rischia di fallire per mancanza di coerenza intrinseca.

venerdì 27 luglio 2007

Comunicazione e mistificazione: quando le parole eludono la realtà

Un esempio di pessima comunicazione, in cui le parole mistificano completamente la realtà fino a ribaltarne il significato ce lo fornisce l’Ansa in un articolo di cronaca sulla home page di oggi.
Il tragico fatto riporta dell’annegamento di un bimbo di 2 anni nella piscina di un asilo privato di Catania. “Il piccolo avrebbe eluso la sorveglianza delle operatrici e si sarebbe gettato in piscina”.

Ma stiamo scherzando ? Un bambino di due anni non elude nessuna sorveglianza, semplicemente è sorvegliato o non sorvegliato adeguatamente.

Di fronte alla portata del fatto la scelta delle parole pesa, eccome. L’Ansa non è un giornalino di paese.

lunedì 23 luglio 2007

Che cosa sono o non sono le pubbliche relazioni  

Mentre Mike Manuel di Media Guerrilla ritrae una situazione in cui agenzie/consulenti di relazioni pubbliche si arrabattano per arrivare a fine mese facendo un po’ di tutto quello che può rientrare – con le buone o con le cattive - nel settore pubbliche relazioni, Toni Muzi Falconi restringe non poco il campo.

Escludendo dalle errepì nell’ordine:

la pubblicità (che secondo me però può fare parte di un programma di comunicazione integrata);

il marketing (e qui sono d’accordo, ma la comunicazione di prodotto come la vogliano classificare ?);

la comunicazione interna (questo non me lo spiego, dato che la costruzione di rapporti positivi vale anche - e magari per prima cosa - per i dipendenti;

il customer service (che effettivamente è un’altra cosa ma che il settore errepì di un’azienda farebbe bene a tenere strettamente d’occhio) e,

inspiegabilmente, quello che molti considerano uno degli strumenti principali (e lo è, se usato bene), il sito internet.

Il mio modesto parere è che tutti gli strumenti di comunicazione che possono servire per creare una reputazione / instaurare relazioni che aiutino l’azienda a perseguire e raggiungere i suoi fini possano rientrare nel settore delle relazioni pubbliche. D’altra parte ogni azienda usa definizioni diverse di questo ambito e attribuisce ai dipendenti che se ne occupano le più svariate qualifiche. Cosicché può capitare che due persone con lo stesso inquadramento abbiano competenze che non hanno niente in comune. Parimenti, può succedere che persone con titoli diversissimi facciano all’incirca le stesse cose.

Comunque, sulla falsariga di quanto sopra, mi sono divertita a fare un elenco – semiserio – che sottopongo ai miei cinque lettori, chiedendo la loro opinione. Nel tentativo di chiarire se le situazioni che presento qui sotto possano o no essere considerate relazioni pubbliche (il dubbio è atroce):

a) il barista che chiacchiera con il cliente al banco o il gestore del ristorante che si ferma a parlare al tavolo del cliente

b) la receptionist che intrattiene il fornitore in sala d’attesa mentre questi aspetta che il responsabile dell’ufficio acquisti si faccia vivo

c) la vicina di casa che ci aggancia tutte le volte che ci incontra per le scale, sperando che, se diventa intima con noi, poi le presteremo lo zucchero, un uovo, un limone, un pizzico di sale quando resta senza

d) il contadino che ti invita a bere un bicchiere di quello buono dopo che gli hai comprato una cassetta di mele/pere/pesche e ti racconta che lui non dà niente alle piante

e) il libraio che ha letto il romanzo che un cliente sta comprando e lo ha trovato fantastico, però lo stesso autore ne ha scritti altri che sono ancora meglio

f) la commessa del negozio di abbigliamento che ha nove gonne uguali a quella che ti stai provando, in colori assortiti, e anche se le lavi in lavatrice non stingono e non si restringono

g) il venditore porta a portadi folletto/enciclopedia/surgelati che, al malcapitato che lo ha fatto entrare, racconta la storia della sua vita per impietosirlo

h) i testimoni di Geova che suonano alla porta o fermano per strada i passanti distribuendo un opuscolo sulla fine del mondo

i) le ragazze che regalano i biglietti omaggio delle discoteche nelle vie dello struscio

martedì 17 luglio 2007

Comunicare fiducia nell'epoca degli scandali  


Da alcuni giorni si può leggere su Comunitàzione il mio ultimo articolo di comunicazione d'impresa Comunicare fiducia nell'epoca degli scandali. Argomento purtroppo di stretta attualità, con il quale i relatori pubblici si trovano loro malgrado (quasi sempre) ad avere a che fare. Impegnati nel difficile compito di restituire credibilità all'azienda.

mercoledì 11 luglio 2007

Comunicazione d’emergenza e spauracchi 


L’anno scorso era l’aviaria, che da noi non è mai arrivata, e neanche ha provocato la pandemia che si temeva. Oggi sono la desertificazione e il riscaldamento del pianeta, sbattuti in prima pagina (anche grazie al Live Earth dei divi dagli inquinantissimi jet privati) in un luglio che è il meno caldo degli ultimi anni.

Comunicazione d’emergenza o creazione (voluta ? per ignoranza ? per incoscienza ?) di spauracchi ?

Sia come sia, tutte le regole della corretta comunicazione sono saltate. L’importante è fare del sensazionalismo. Un passaparola che inizia da chissà chi (studiosi che esprimono in maniera troppo tecnica ? giornalisti che fraintendono ? mah) e si propaga in maniera virale per tutti gli angoli del pianeta. Ingigantito come un sassolino che forma una frana, come una pallina di neve che provoca una valanga. Discorsi da commentare sul treno, in ufficio, al bar, dovunque, ma senza che sia possibile verificare la veridicità delle informazioni.

Sarà tutto vero ? Chi ci sarà dietro ? Qual è lo scopo di tutto ciò ? Almeno chiediamocelo, prima di credere a qualunque cosa.

lunedì 9 luglio 2007

How Addicted to Blogging Are You? 

50%How Addicted to Blogging Are You?

Mingle2 - Online Dating



Questa è la mia percentuale di blog addiction. Pensavo peggio (vedere il mio precedente post sull'argomento) ma credo che la percentuale sia in parte dovuta alla mancanza di tempo, altrimenti forse sarebbe più alta ! Meglio così.

Il Customer Care si può fare a ogni livello 


Le piccole imprese che non fanno il customer care con la scusa di non poter acquistare costosi programmi di CRM (chi li possiede spesso dice di sfruttarne solo una minima parte delle potenzialità) dovrebbero imparare da una panettiera di paese.

Quella nel cui negozio (ottima panetteria-pasticceria) mi trovano questa mattina.

Che ha ripreso (garbatamente) la commessa quando anziché chiedere “chi devo servire”, ha dato per scontato che il primo fosse un uomo, quando invece era un bambino che, intimidito, non aveva avuto il coraggio di farsi avanti per dire “ci sono prima io”.

La spiegazione della panettiera è stata che i bambini e gli anziani in genere non reagiscono (nel linguaggio aziendale si direbbe che “non inoltrano reclamo”), ma rimangono malissimo. “ E magari - avrà pensato la titolare - la prossima volta vanno in un altro negozio (c’è un’altra panetteria proprio lì accanto).

Quante volte clienti, magari piccoli, non di età ma di fatturato, sono trascurati perché “tanto non fanno abbastanza volume” ?

Quante volte accorgendoci di aver dato un servizio men che buono facciamo finta di niente se il cliente non si lamenta a gran voce (dormendo sul fatto che le sue lamentele con altri – potenziali clienti – possono innescare un passaparola che alla fine ci danneggia) ?

Questa non giovanissima signora di paese, che mentre sono entrata stava spazzando il pavimento (lei che è la padrona del negozio e ha vari dipendenti), potrebbe dare una bella lezione a molti manager di azienda.

venerdì 6 luglio 2007

Sono cattiva 

Avevo già scritto in un precedente post dell' insipienza di certi messaggi utilizzati dai pubblicitari per vendere le auto. Oggi ne ho ascoltato un altro alla radio. Pubblicizza un'auto (di cui volontariamente non cito marca e modello)facendola parlare in prima persona. Che cosa dice ? "sono cattiva !". La campagna, se non sbaglio, si chiama "cattivi dentro".

Ma che cosa significa che un'auto è cattiva ? O meglio come può essere interpretata questa frase dai tanti microcefali patentati che spadroneggiano sulle strade italiane ? Una macchina che si schianta contro un'altra, che investe sulle strisce un pedone ? Che falcia un ciclista o che taglia la strada a un motocisticlista? Mi auguro di no, ma se il risultato fosse questo, mi sembrerebbe il male minore che la vittima, piuttosto che qualcun altro, fosse il copywriter. Sono cattiva ?

giovedì 5 luglio 2007

Una class action contro Parmalat 


Gli oltre 27000 risparmiatori vittime del crac della Parmalat potrebbero intentate una class action, una causa civile di massa contro l’azienda, attualmente in amministrazione straordinaria, per il risarcimento dei danni subiti (in totale sono stati chiesti 38 milioni di euro). La società di Collecchio, che sotto la nuova gestione di Enrico Bondi pareva aver voltato pagina, potrebbe dover pagare. Intanto le sue azioni hanno perso oltre l’8 %. Altro che relazioni pubbliche, per risollevare l’immagine e la reputazione dell'impresa, che i suoi stakeholder li ha pugnalati alle spalle, ci vuole un miracolo ! Sarebbe stato meglio lavorare bene quando si era ancora in tempo, direbbe il grillo parlante di Pinocchio.

mercoledì 27 giugno 2007

Blogger, abbassa il volume, per favore

Scrivo questo post di getto, più che altro un appello, dopo che in questi ultimi giorni mi si sono moltiplicati i casi di blog che mi trovavo a visitare casualmente che mi imponevano un sottofondo musicale e sonoro. Senza possibilità di stoppare la musica e neanche di abbassare il volume. Sono scappata dopo poche righe. Peccato che qualcuno fosse anche interessante e meritasse una visita più approdondita.

Domanda a chi passerà di qua : ma che senso ha imporre un sottofondo sonoro che nulla aggiunge a quanto viene scritto, serve solo a riempire un silenzio che permette la concentrazione (anche minima, per carità) che occorre per leggere qualche riga. Se quello che scrivete non lo reputate abbastanza interessante da sostenere il blog da solo senza altri orpelli lasciate perdere. Permettetemi di leggere senza impormi i vostri gusti. Se voglio la musica me la metto io e di mio gradimento !!!

Bilancio, Basilea 2 e comunicazione d’impresa 


Ancora pochi giorni e poi le aziende dovranno presentare il bilancio d’esercizio per il 2006.

Chissà se, nel prepararlo, avranno tenuto conto del fatto che mancano soltanto più sei mesi alla piena entrata in vigore degli accordi di Basilea 2. Che obbligheranno le banche a un severo esame dei conti aziendali (ma non solo di quelli). Da gennaio 2008 i bilanci saranno girati e rigirati come dei calzini per vedere se l’azienda che chiede un finanziamento è veramente affidabile.

Per tutti coloro che vedevano nella presentazione del bilancio un triste obbligo da assolvere nella maniera più veloce e indolore urge un rapido cambio di mentalità. Basta con i documenti redatti in fretta e furia in maniera approssimativa, che“dimenticano” qualche cosa o lasciano volutamente nella nebbia determinati particolari. Scordatevi di ottenere un credito con un foglio del genere. I lasciapassare d’ora in avanti saranno completezza di dati, chiarezza nell’esporli, trasparenza, e anche eleganza e stile nella redazione del documento (lasciate perdere la carta copiativa del fax del commercialista e perdete un po’ più di tempo a riscriverlo in bella copia).

I primi che sapranno capire che il bilancio è a tutti gli effetti un documento per fare comunicazione d’azienda (non per niente la legge prevede che sia reso pubblico) e che sapranno sfruttare la cosa – penso soprattutto alle aziende di non grandi dimensioni – acquisteranno un vantaggio competitivo non da poco.

domenica 24 giugno 2007

Markets are conversations, ma molto spesso inutili  


I manager europei spendono circa due ore al giorno per gestire le comunicazioni via e-mail. E’ quanto emerge da uno studio dell'Henley Management College pubblicato nei giorni scorsi e commissionato da Plantronics. Lo si legge in un articolo del portale PMI.it.

L’e-mail è oggi il mezzo di elezione, più del telefono e più del colloquio di persona, e in alternativa all’uso del blog, al quale la maggior parte dei manager è ancora allergica, per intrattenere relazioni con i pubblici influenti.
Markets are conversations, dice il primo punto del Cluetrain Manifesto, sottolineando l’importanza di un dialogo costante con i proprio stakeholder.

Tuttavia, rivela il già citato studio, il 31 % degli intervistati dice che la metà dei messaggi di posta elettronica ricevuti sono irrilevanti.
I mercati sono conversazioni si sa, ma, evidentemente, molte sono conversazioni oziose.

martedì 19 giugno 2007

WWF, Coca Cola, CSR e sodio benzoato 


Va sicuramente inserita sotto il capitolo della Responsabilità Sociale d’Impresa la collaborazione che la Coca Cola ha annunciato con il WWF per la salvaguardia del patrimonio idrico mondiale.
La multinazionale americana, nel corso della conferenza annuale del WWF a Pechino, ha promesso che restituirà alla comunità l’acqua utilizzata per il confezionamento delle bibite (290 miliardi di litri d'acqua nel 2006). Donando al WWF 20 milioni di dollari, Coca Cola Company permetterà all’organizzazione ambientalista di gestire la conservazione di sette bacini idrici che si trovano in varie zone del mondo. Coca Cola accetterà inoltre i consigli del WWF su come risparmiare acqua (ripulendola perfettamente) e ridurre l’impatto sull’ambiente.

Quasi contemporanea è la notizia che le bibite gassate, nella cui produzione Coca Cola è leader, potrebbero essere responsabili di malattie degenerative dell’organismo, come la cirrosi epatica e il morbo di Parkison. Responsabile un additivo che si trova in molti soft drink, l’E-211, o sodio benzoato. Lo rivela un articolo pubblicato la settimana scorso sull’Independent, quotidiano britannico che cita uno studio condotto presso l’università di Sheffield (dal professor Peter Piper, docente di biologia molecolare e biotecnologia, impegnato da 7 anni in ricerche sull'E-211). Già sospettato in passato di procurare il cancro (formerebbe il benzene in combinazione con l’additivo della vitamina C), il conservante ha continuato a essere utilizzato.
Che cosa fanno Coca Cola e le altre ? Per il momento niente. Bevete, gente, bevete.

lunedì 18 giugno 2007

Scegliere oggi pensando al domani 


Ho scelto come titolo di questo post lo slogan con cui il ministero sta portando avanti la campagna informativa per la scelta della destinazione del TFR, che tutti i lavoratori dipendenti del privato dovranno effettuare entro il 30 giugno.

Scelta che si rivela difficile, stentata (a oggi circa il 40 % soltanto ha aderito a un fondo pensionistico).

Molti sono gli incerti che decideranno all’ultimo momento e si teme che, purtroppo, tanti finiranno nella rete del silenzio-assenso.

Di certo non si può dire che siano mancate le informazioni in materia. Da gennaio, cioè da quando è possibile effettuare la scelta, siamo stati bombardati di comunicazioni dal governo e dai sindacati (un po’ meno dai privati - banche e assicurazioni - forse penalizzati dal fatto che i loro fondi non godono del contributo del datore di lavoro).

E allora ?

Forse le informazioni sono apparse fin da subito fumose, poco trasparenti, ideologicamente orientate, gravate da interessi di parte, poco complete, prive di garanzie per quelli che saranno i benefici in un futuro, anche lontano.

Prive di tutti quegli elementi oramai considerati imprescindibili da qualunque comunicatore che si definisca etico.

Tanto che è nato persino un sito internet alternativo che dice di raccontare la verità. L’url è www.tuapensione.it. Ognuno può visitarlo e farsene un'opinione.

sabato 9 giugno 2007

Contro l'orgoglio pedofilo  


Aderisco anch'io all'iniziativa dei blogger contro l'orgoglio pedofilo, condividendo in toto le motivazioni espresse nel blog Nolovebodyday e nel sito E Polis

venerdì 8 giugno 2007

Quando il blogger non va in vacanza  

Anche se le mie ferie sono ancora purtroppo lontane (le due ultime di agosto) ho già deciso di lasciare a casa il portatile. Questo significa che per due settimane non posterò. Non solo: niente lettura dei blog altrui, niente posta elettronica (speriamo non si intasi la casella), niente navigazione in internet, niente di niente. (Caso mai dovesse proprio venirmi l’ispirazione per un post vorrà dire che butterò giù gli appunti in un notes). Spero che due settimane bastino per disintossicarmi. Dal web e dai blog, mio e degli altri.
Da quando ho inaugurato questo blog a fine novembre (quindi poco più di sei mesi fa) le ore del mio tempo libero che passo in internet sono aumentate in maniera esponenziale. Postare, indicizzare, organizzare il layout, tenere d’occhio la blogosfera (impresa immane !), navigare per i siti collegati e non (uno tira l’altro come le ciliegie) eccetera, eccetera, sono diventati un moloch. Che si è divorato letture (sigh), cinema, sport e altri interessi, tutti ridotti al lumicino. D’altra parte, con un lavoro a tempo pieno, qualche collaborazione occasionale, e una creatura di due anni e mezzo che reclama una mamma che vede già piuttosto poco, di tempo libero restano scampoli.
Ma il blog (e il web) è una droga: cominci con dosi limitate e ti prende sempre di più, e non puoi farne a meno, non vuoi farne a meno. Voglio essere chiara: bloggare è stupendo, vivere il web è entusiasmante (sennò perché lo farei), internet ti dà tantissimo.
Ma la realtà virtuale (ma sarà giusto chiamarla così), si sta mangiando la mia vita !!!
Mi ci ha fatto riflettere un post di Gianluca Diegoli, La parte abitata della spiaggia, in cui l’autore spiega che vorrebbe incontrare sulle spiaggia altre persone che condividono la sua passione per i blog, mentre questo non succede: la maggior parte delle persone non sanno neanche che cosa sia un blog !!! E stanno benissimo così. E mentre sono convinta che si stiano perdendo tanto (la possibilità di incontrare e scambiare opinioni con chi condivide interessi uguali o simili ai nostri è impagabile, perché spesso si vive lontanissimi gli uni dagli altri e non ci si sarebbe mai incontrati di persona) ultimamente mi scopro spesso a pensare che chi nel web non bazzica (consultazione degli orari dei treni e delle previsioni del tempo escluse) ha più tempo da dedicare alle attività della vita in carne e ossa. E mentre sospetto che il mio problema possa essere la mancanza di tempo (cronica, ultimamente) e non il web (che ha arricchito non poco la mia vita), mi sarebbe piaciuto che dal post di Gianluca Diegoli si sviluppasse un bel dibattito (invece è stato preso d’assalto dagli spammer) e sapere che cosa ne pensano gli altri. Magari ho solo bisogno di una bella vacanza (dal lavoro, non dal blog).

Per una società 2.0 

Un vecchissimo (per essere il web) commento di Dave Forstrom del 4 novembre 2005 a un post su Media Guerrilla, che ho letto recentemente, mi ha fatto riflettere ulteriormente sul significato dell’espressione Web 2.0. Ecco il commento (il corsivo è mio):


Excellent post Mike, spot on! And I think the transition--1.0 to 2.0--extends beyond just PR to the media and business. We're right in the middle of, and witnessing daily, this transformation. And I agree, the onus is on us--by us I mean a new transformed generation of professionals. Transformed by innovation and collective access to content. I posted on this at the Marcomblog.com and Robert French links our ideas at Auburnmedia.com
Posted by: Dave Forstrom | November 04, 2005 at 10:31 AM


Quello che mi sembra interessante è il concetto di estendere il succo del Web 2.0, cioè l’interattività, la comunicazione a due vie, il dialogo, l’instaurarsi di una relazione di scambio (al posto del rapporto unilaterale del vecchio web, per cui io ti propino le informazioni che meglio credo e tu te le sorbisci senza obiettare) anche alle altre professioni che non siano legate alla comunicazione e alle rp. Una nuova generazione di professionisti, impegnati nei media (e fin qui niente di nuovo) e nel business – dice Dave Forstrom - e, aggiungo io, anche nelle altre professioni. E’ web 2.0 il medico ti spiega esattamente come intende curarti (e magari è pronto a discutere con te se non ti trova immediatamente d’accordo). Oppure l’architetto che ti arreda la casa seguendo i tuoi gusti (invece che solo le sue idee).
Sono web 2.0 tutti quei professionisti che si relazionano con il cliente in modo autentico, invece che dare per scontato che questi non capisca niente perché non esperto del settore.
Pochi esempi a caso che rappresentano un modo di intendere la propria professione in modo diverso, “scendendo dalla cattedra” e mettendosi sullo stesso piano del proprio interlocutore. Per poter instaurare un dialogo. Perché solo così la decisione può essere costruita insieme e quindi condivisa. Che sia l’inizio di una società più democratica ?

Affrontare le voci di corridoio in azienda: la comunicazione interna e le situazioni di crisi 



E' online su Comunitàzione il mio ultimo articolo di comunicazione d'impresa: Affrontare le voci di corridoio in azienda, la comunicazione interna e le situazioni di crisi.

Si tratta dell'analisi di una situazione con cui i comunicatori che lavorano all'interno di un'azienda si trovano abbastanza frequentemente ad avere a che fare. Con alcuni suggerimenti sul modo migliore di far fronte.

giovedì 31 maggio 2007

La scuola italiana è Web 0.0 ?  




Un’amica che insegna in un istituto tecnico della provincia mi racconta “sconvolta” che il preside ha rifiutato un’offerta - scandalosamente favorevole - di un’agenzia di SEO per indicizzare il sito internet della scuola sui motori di ricerca. Motivazione: gli insegnanti, gli alunni e il personale scolastico non docente conoscono l’indirizzo del sito e quindi lo trovano comunque. Ma gli altri ? Ma l’obiettivo primario dell’istituto non era quello di fare delle iscrizioni ? Forse non quello dichiarato ufficialmente (che dovrebbe essere quello di formare delle professionalità ben precise) ma sicuramente – lo so perché la mia amica me ne parla sempre – quello reale. Inseguito anche disperatamente, dato che da qualche anno l’istituto sta perdendo alunni, complice anche una grave crisi del settore industriale per il quale la scuola è il serbatoio principale di addetti. Quindi contrazione seria delle iscrizioni, e tagli al personale docente.
Urge un serio programma di comunicazione per rilanciare l’istituto, nell’attesa che l’economia locale si metta a girare di nuovo e torni a richiedere mani (è una scuola d’arte) e cervelli freschi. Un programma che punti ad acquisire visibilità e di un certo tipo, dando un’immagine di serietà, e rilanciando anche la dimensione formativa e culturale dell’istituto, evidenziando il fatto che la scuola rilascia un diploma quinquennale che consente l’accesso a tutte le facoltà universitarie. Questo per attirare quel target di studenti che non ha ancora deciso esattamente quello che vuole fare, e che potrebbe continuare a studiare anche dopo il diploma.
Buttando lì qualche idea, il programma dovrebbe imprescindibilmente comprendere un nuovo sito interattivo con un blog in cui gli studenti si rivolgono ai loro futuri compagni per raccontare della loro scuola, e magari anche uno dei professori (che ne evidenziasse la dimensione umana prima ancora che quella accademica). Poi una newsletter da mandare alle scuole medie (ed eventualmente agli alunni di terza media dotati di computer a casa propria) per spiegare “come è bello e quanto utile frequentare quella scuola”, e dando tutte le informazioni del caso. Insomma dotarsi degli strumenti per instaurare un dialogo con i potenziali clienti. Troppo web 2.0 per il nostro sistena scolastico ?

lunedì 21 maggio 2007

Pane, amore e sanità (ma poca fantasia !)  


Pane, amore e sanità. E' lo slogan scelto per la campagna del Ministero della Salute per ridare lustro all’immagine della sanità pubblica italiana, disastrata dai recenti (gravi) episodi di malasanità.
La foto (di Oliverio Toscani) ritrae il primo piano di una rubiconda infermiera dall’aspetto che scoppia di salute. Sorridente come tutti vorremmo le infermiere fossero. Scopo della campagna è quello di rappresentare le cose belle e buone della sanità.
Oltre a non comunicare assolutamente niente, allo stesso modo della pubblicità della Regione Calabria di cui avevo parlato in un altro post, il manifesto del Ministero della Salute è anche abbastanza irritante. Non soltanto non ci spiega perché la sanità è bella, ma contraddice l’evidenza.
La sanità italiana non è bella, è diciamo, quasi sempre passabile. Ma non sempre. A volte ci si dimentica di disinfettare le sale operatorie permettendo il proliferare di pericolosi batteri, o di attaccare i respiratori al gruppo di continuità, di controllare che i tubi che portano l’ossigeno ai pazienti non inviino qualche altro gas. E’ vero, nella maggior parte dei casi la sanità italiana più o meno funziona. Talvolta anche molto molto bene. Talvolta in maniera sufficiente. Ma a volte fa dei rotti che sono sotto gli occhi di tutti. Se la sanità italiana fosse proprio bella, il manifesto sarebbe superfluo. Ma dato che non lo è, forse si poteva costruire la campagna con altri slogan. Che dicessero, per esempio, qualcosa come: non siamo ancora belli ma ci stiamo impegnando per diventarlo. Più vero e più onesto (e poi impegnarsi davvero per cambiare quello che deve essere cambiato).

lunedì 14 maggio 2007

Comunicazione e comportamenti: perché la prima non può supplire ai secondi 


Un cliente della Repubblica Ceca mi spedisce alcuni campioni di depliant (nuovi) per posta. Sono imballati dentro una busta di carta. Ecco che cosa ricevo: una busta di plastica contenente i residui di quello che una volta era una busta cartacea, talmente strappata da sembrare che arrivi direttamente dall’Afghanistan, reduce da un’imboscata dei talebani.

La busta è stata anche bagnata, si sente al tatto e i caratteri dell’indirizzo sono tutti sbavati. Come siano i depliant dentro ve lo lascio immaginare. Riesco a estrarne uno, che in qualche maniera è ancora leggibile, gli altri sono incollati insieme in maniera che se si cerca di separarli si strappano.

Ma l’uovo di Pasqua contiene una sorpresa: un foglio dattiloscritto di Poste Italiane S.p.a, firmato dal MONITORAGGIO QUALITA’ (il maiuscolo è loro), questo sì perfettamente ordinato, asciutto, leggibile. Recita:

L’allegato invio è stato accidentalmente lacerato dai congegni di meccanizzazione postale.

La preghiamo, pertanto, di scusare l’inconveniente dovuto a cause di forza maggiore. Distinti saluti.


Ora, senza stare a cavillare sul fatto che per forza maggiore in genere si intendono guerre, sommosse popolari, eventi della natura come inondazioni, ecc, contro i quali anche la più perfetta macchina organizzativa niente può (e non situazioni causate da cattiva organizzazione dell’azienda stessa come il malfunzionamento dei macchinari), mi preme fare due riflessioni a caldo su come è intesa la funzione Comunicazione nelle Poste Italiane Spa:

1) evidentemente non si tiene conto del fatto che l’80 % della comunicazione passa attraverso i comportamenti. Questi prevedono un’offerta di risarcimento o di altra compensazione nel caso di un cattivo servizio. Scusarsi e basta non è sufficiente.

2) Manca l’integrazione delle varie funzioni comunicative: le Poste lavorano molto bene come comunicazione istituzionale (sito internet ricco di informazioni, depliant sui prodotti offerti esaurienti e con una grafica molto accattivante, numero verde per le informazioni sull’andamento dei titoli, ecc). Però la comunicazione di un’azienda non si esaurisce qui.

L’immagine e la reputazione si costruiscono – anche e soprattutto - attraverso i comportamenti di chi ha che fare – a vario titolo – con il pubblico. Compresi gli addetti al servizio Monitoraggio Qualità. Ai quali è evidente che nessuno ha mai spiegato come ci si rivolge a un cliente danneggiato.

sabato 12 maggio 2007

Toni Muzi Falconi contro i Matusalemme delle RP 


Largo ai giovani potrebbe essere lo slogan riassuntivo del commento di Toni Muzi Falconi pubblicato di recente sul sito della Ferpi.

Secondo lui il giovane laureato e masterizzato in comunicazione conosce molto meglio le dimensioni strategiche e istituzionali del mestiere. Mentre l’anziano invece ne ha una conoscenza artigianale, empirica, “situazionale”. L’unico punto a suo favore è che ha un vasto network di conoscenze (accumulato negli anni). E ha bisogno del supporto del suddetto giovane per trovare ancora uno spazio in azienda.

Non sono d’accordo.

A parte che non mi piace ragionare per categorie (i giovani, gli anziani, le donne, ecc), meno ancora condivido l'affermazione tout court che gli “anziani si devono mettere da parte e lasciare il posto ai giovani”. Ma perché ? (e poi chi gliela paga la pensione visto che non ci sono soldi ?)

Prima di tutto considero assurdo il voler porre dei limiti di età in un’epoca che sta spostando sempre più avanti (per fortuna !) i confini della vita media e anche della giovinezza. Con la conseguenza che gente con un’età alla quale una volta si aveva l’arteriosclerosi galoppante adesso ha ancora un cervello che funziona benissimo e, perché no, voglia di darsi da fare.
E magari li usa entrambi per aggiornarsi, e ha studiato la teoria e la strategia della comunicazione.

Scienze della Comunicazione è una facoltà relativamente nuova, e chi ha più di trenta-trentacinque anni se ha fatto l’università ha studiato altro. Per amore o per forza. Poi magari si è specializzato in seguito e non mancano neanche tanti che hanno appreso questo lavoro sul campo, rubando il mestiere a chi lo faceva già. E lavorano benissimo. E continuano ad aggiornarsi.

D’altra parte si tratta di un settore – sia la teoria che la pratica - in inarrestabile evoluzione, e l’aggiornamento continuo toccherà anche ai laureati e masterizzati in comunicazione, se non vorranno che il loro patrimonio di conoscenze sia considerato “datato” a pochi anni dalla laurea.

E allora lasciamo che vada avanti, e si faccia posto, chi è bravo, chi ha studiato, fatto esperienze, ha voglia di fare, e ha capito che nella vita non si finisce mai di imparare (e di studiare). Più o meno giovane che sia.

mercoledì 2 maggio 2007

Gli ultimi saranno i primi, ma Oliviero Toscani non centra l’obiettivo  























Gli ultimi saranno i primi
è il titolo della campagna pubblicitaria che la Regione Calabria ha commissionato a Oliviero Toscani per “riposizionare” la reputazione della gente del posto. Motivazione: nell’immaginario collettivo degli italiani i calabresi risulterebbero gente malavitosa, inaffidabile e incivile. Insomma: dei terroni, e per giunta della peggiore specie. Sono questi infatti gli aggettivi – intenzionalmente ironici - utilizzati dai copy a corredo delle sei fotografie scattate dal bravo Oliviero, che mostrano gruppi di adolescenti locali: belli, simpatici, sorridenti, calabresi doc. Messi lì per confutare i pregiudizi e preconcetti degli altri italiani e dimostrare che non è così. Almeno stando alle parole del presidente della Regione Agazio Loiero, alla presentazione ufficiale della campagna, a febbraio. Più che confutare in realtà, i ragazzi hanno l’aria di chi si limita a farsi un baffo delle accuse. Senza preoccuparsi di dimostrare perché non sono vere. Manca infatti un qualsiasi accenno ai motivi per cui non dovrebbero essere considerati così.
Ma la Calabria ha ben altre frecce nel suo arco. Perché non le usa ? Non avrebbe avuto molto più senso fotografare i gruppi di giovani al lavoro nelle cooperative sorte sui terreni confiscati alla ‘ndrangheta ? Per esempio i soci della coop Valle del Marro, che in questi giorni stanno faticosamente ricostruendo quasi da zero sulle devastazioni dell’ultima incursione dei mafiosi. A rischio della vita, perché la ‘ndrangheta non scherza. Per avere un futuro. E per darlo alla loro terra e ai loro conterranei. A tutti i calabresi. Meno patinati forse, dei ragazzi-modelli scelti da Toscani, ma forti, vincenti, con un coraggio da leone. Sono loro il vero volto della Calabria, da fare vedere all’Italia e al mondo.